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sabato 27 apr
  • La rivoluzione non è un pranzo di gala, è una caponata fatta bene

    Immagino a volte il cittadino palermitano come un gatto sonnacchioso, uno di quelli in grado di rimanere immobile per ore nella stessa posizione. Certo, quando lo infastidisci un po’ o gli tiri la coda si innervosisce, magari allunga la zampa per graffiarti, ma la verità è che vuole essere lasciato in pace. Si rummulia, ma senza troppa convinzione.

    C’è solo una cosa in grado di svegliarlo dal suo torpore, un unico motivo che lo spinge ad alzarsi e fare un po’ di passi: il cibo. E mica un cibo qualunque: se qualcuno si azzarda a proporgli qualcosa cucinata male o, peggio ancora, con gli ingredienti sbagliati, allora sono guai. Lì sì che tira fuori le unghie sul serio e, statene certi, non assaggerà neanche.

    Allo stesso modo, in più di un’occasione, ho potuto notare come siano soprattutto questioni relative al cibo ad accendere gli animi dei palermitani, gli stessi animi che, in altre circostanze, preferiscono rimanere beatamente nel proprio stato catatonico. Basta dire una parola su tutte: arancina. Mai dibattito fu più acceso, con un infervorato scambio di interventi tra le città di Palermo e Catania, culminato in questi giorni in una richiesta al neoeletto Capo dello Stato: «Ce lo dica lei, signor presidente, ci va la “a” o ci va la “o” alla fine?».

    Non mancano i nuovi dibattiti, accesi come un fornello che scotta e, da una cucina all’altra, è toccata anche alla caponata. La scelta (senza dubbio fallimentare) di presentare il dado come un ingrediente indispensabile per la sua preparazione, ha risvegliato persino le coscienze più sopite e le persone che, solitamente, di fronte ad una domanda di attualità, ti guardano come se parlassi in una lingua morta. Ho anche letto la parola boicottaggio da qualche parte.

    Allora lo vedi che anche quel gatto sonnacchioso ogni tanto si alza e fa un po’ di scruscio?

    Il punto, comunque, è sempre quello: il cibo. Lo stesso che ogni giorno fa stilare classifiche su classifiche che promettono di rivelare il meglio di, che vengono lette, condivise e commentate. Che fanno litigare le persone e sciorinare un infinito repertorio di segreti e consigli. Il cibo che inorgoglisce e che rende fieri.

    Una domanda, quindi, ha iniziato a ronzarmi in testa testa: «Perché non riformuliamo le questioni più importanti in chiave gastronomica? Che sia questo il modo per accendere un nuovo sentimento di amore nei confronti della città?» Mi spiego meglio. Ci si lamenta spesso del fatto che l’opinione pubblica sia poco vivace o che le voci critiche e fuori dal coro siano troppo poche. Traduciamo, allora, le questioni politiche, sociali e culturali in termini che i cittadini possano addentare, masticare e gustare. Anche sputare, qualora non fossero di loro gradimento.

    La soluzione potrebbe essere a portata di mano, anzi, di forchetta: se vuoi cambiare Palermo, parla di cibo. Dopo lo spaesamento iniziale, per via delle metafore di natura gastronomica, anche gli argomenti di attualità potrebbero diventare comprensibili.

    O, meglio, commestibili.

    Ospiti
  • 2 commenti a “La rivoluzione non è un pranzo di gala, è una caponata fatta bene”

    1. L’idea non e’ male.
      Si puo’ tranquillamente affermare che il Comune e’ bollito, le tasse troppo salate, le iniziative culturali insipide, le promesse elettorali fritte e rifritte nell’olio fituso, e che se lor signori continuano cosi’ alla fine avranno grattugiato per bene i cosiddetti.
      Se poi al posto di una bella birra atturrunata ci propinano un brodino caldo, non oso pensare alle conseguenze.

    2. Ecco, è esattamente quello che intendevo! Se non ci lasciano neanche la birra atturrunata, però, siamo proprio messi male.

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