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venerdì 19 apr
  • Racconti ucronici, cronache di una Palermo possibile: il Roosevelt

    Racconti ucronici, cronache di una Palermo possibile: il Roosevelt

    Era domenica e Vincenzo aveva deciso di stare da solo. Aveva imboccato l’autostrada e poi alcune strade rurali, così, senza meta. Si trovava adesso nei pressi di Marsala, una placida cittadina della Sicilia occidentale, ma non sapeva bene dove, di preciso, fosse. Tutt’intorno campagne verdeggianti, viti, olivi o macchia mediterranea. Era così che la sua anima era felice, in mezzo alla natura, disperso e senza meta. Camminava su alcuni indefiniti sentieri per lunghi tratti, poi li abbandonava. Incontrava qua e là magazzini, ruderi, bagli, vestigia di un tempo passato, li esaminava, ne immaginava gli abitanti, gli avvenimenti accaduti, il loro uso e le caratteristiche. Poi continuava la sua camminata sognante. Vicino alla costa vide un magazzino più grande degli altri ed anche molto più alto. Era abbandonato da molto tempo e il portone era solo semplicemente accostato.

    Roosevelt

    All’interno erano cresciute ortiche e gramigna sul pavimento. Nel buio distinse un grosso oggetto all’interno. Entrò. Era un aeroplano antico, lo capì subito. Un idrovolante per la precisione, in perfetto stato di conservazione. Girò tutt’intorno, controllò le ali, la struttura, la fusoliera, l’abitacolo per il pilota, salì sugli scarponi galleggianti. Sembrava quasi perfetto. Vide che era un Cant Z.501 Gabbiano.
    Sull’ala mancava tuttavia il motore, nell’apposito alloggiamento.

    CANT Z.501

    Un oggetto completo, ma senza il cuore.

    La sua passeggiata finì subito dopo e, tornato a casa, iniziò con passione le sue ricerche per saperne di più. Si informò presso il personale di un piccolo aeroporto per diportisti ma nessuno aveva informazioni su quello che scoprì successivamente essere un aereo militare utilizzato nella seconda guerra mondiale.

    Il Cant Z.501 Gabbiano era un idrovolante monomotore, con una sola ala alta, sopra l’abitacolo. Fu realizzato presso i Cantieri Riuniti dell’Adriatico nei primi anni trenta ma fu anche prodotto dall’Aeronautica Sicula presso lo stabilimento dell’Addaura, a Mondello, vicino al porticciolo.

    Roosevelt

    Tutto ebbe inizio dall’Aeronautica Ducrot nel 1916, quando Vittorio Ducrot, trasformò (a causa della guerra) le “Officine Ducrot” di Palermo, che realizzavano mobili di pregiata fattura e arredamenti di navi, in industria aeronautica per forniture belliche. Fondò per prima la “Vittoria Aeronautica Ducrot”, insieme ai Florio, per la costruzione di idrovolanti per la Regia Marina.

    Negli anni venti l’attività continuò ancora con il nome “Società Aeronautica Ducrot & Florio”.
    Nel 1935, in collaborazione con Giovan Battista Caproni, illuminato progettista ed industriale del Nord Italia, Ducrot costituì la “Società Caproni-Ducrot Costruzioni Aeronautiche” che l’anno dopo diventò “Aeronautica Sicula S.A.” Inizialmente la sede di produzione fu presso il Cantiere navale di Palermo, ma con la seconda guerra mondiale la richiesta aumentò e molti modelli di idrovolanti furono costruiti nella nuova sede di Mondello.
    Ducrot intanto morì nel 1942.

    Roosevelt

    Nell’agosto 1943, dopo l’invasione della Sicilia, 12 velivoli Cant Z.501, ancora incompleti nello stabilimento, furono catturati dagli alleati.
    Più tardi, l’Aeronautica Sicula riparò molti di questi idrovolanti per essere utilizzati dall’”Aeronautica Cobelligerante Italiana”.
    Alcune modifiche riguardarono la loro trasformazione in aerei civili, con la rimozione della mitragliatrice anteriore.
    Non tutti gli idrovolanti furono rintracciati alla fine della guerra, alcuni sparirono misteriosamente.

    Roosevelt (Google Maps)
    (immagine da Google Maps)

    Vincenzo rimase affascinato dal suo ritrovamento e nei momenti liberi si impegnò a ricercare notizie storiche dell’antico velivolo. Dopo alcuni mesi gli fu prospettata la possibilità di integrare un vecchio motore al Cant Z.501 Gabbiano, per provare a farlo volare nuovamente. Si adoperò in ogni modo, supportato da alcuni piloti appassionati, ed alla fine l’impresa riuscì. Una domenica decollarono dal mare di Mondello per un giro della costa e intorno alla città. Anche lui fece parte, emozionatissimo, dell’equipaggio di volo.

    In una fresca e assolata giornata di maggio il “Gabbiano” si rialzò in volo e ritornò alla casa di origine, in un hangar della ex Aeronautica Sicula, a Palermo in località Addaura.

    Quando si ritrovò da solo, nel vecchio hangar vicino al mare, il “Gabbiano” cominciò a ricordare molte delle sue imprese giovanili. Era stato un idrovolante da guerra ed aveva partecipato a numerose missioni di successo scorazzando in lungo ed in largo sul territorio italiano. Era stato un eroe, ma adesso nessuno conosceva le sue imprese trascorse. La solitudine ed il silenzio del luogo lo intristivano e lo facevano sentire veramente isolato.

    In gioventù era stato sempre circondato da audaci piloti e meccanici molti attivi. La vita intorno a lui era sempre fervida ed in costante mutamento.

    In una notte di tempesta la porta dell’hangar si aprì e “Gabbiano” decise che era giunto il momento di fare un giro di perlustrazione, in autonomia. Mise in moto il suo cuore pulsante, si avviò verso l’uscita e con eleganza si alzò in volo in mezzo alla bufera. La sua struttura non era più molto resistente, il tempo l’aveva fiaccata un po’, ma riuscì a fare un giro abbastanza ampio da restarne soddisfatto. Si rese conto che molte costruzioni, le strade, le attività erano cambiate dal suo primo volo, tutto gli sembrava grigio, senza vitalità, trattato con poca cura, tuttavia l’orografia del territorio era praticamente immutata e lui la conosceva bene. Non c’era più la guerra ma lui sentiva che l’umanità non era felice.

    Soltanto il magazzino che lo ospitava era vuoto. Gli altri, intorno al suo, erano adibiti ad uffici, mentre le strutture per il volo e per la manutenzione erano state dismesse. Gli scivoli a mare non erano più utilizzabili perché privi del rivestimento che li rendeva praticabili. Solo in uno era stata installata una lamina metallica sopra i gradoni in muratura, proprio per consentire il suo recente ingresso all’hangar.

    Era offeso, indignato. Abbandonato e sottovalutato da quegli omuncoli che lo avevano parcheggiato lì, senza tributargli alcun risalto ed onore.

    Per alcuni giorni il magazzino rimase con la porta aperta e l’idrovolante si concesse alcuni voli di libertà, tornando poi mestamente alla sua dimora provvisoria. Una domenica mattina all’improvviso si ritrovò attorniato da diverse persone che lo esaminarono da cima a fondo. Alla fine della riunione lui comprese, avendo ascoltato il chiacchiericcio tra tutti i presenti, che avevano preso la decisione di trasferirlo in un museo. Sarebbe tornato ad una stasi inerte, con i comandi disattivati e privo di combustibile.

    Non avrebbe mai più volato!

    Non sapeva quanto tempo gli sarebbe rimasto prima di essere trasferito, ma decise di utilizzare al meglio i giorni della sua permanenza all’Addaura.

    Fu fortunato: la commissione, andando via, lasciò nuovamente la porta del magazzino semplicemente accostata e gli fu relativamente facile spingerla per aprirla del tutto. Era molto arrabbiato, non sapeva cosa avrebbe fatto nei prossimi giorni, ma le intenzioni erano bellicose. Si spinse fuori a volare fin dalla prima notte e girovagò senza meta per un po’. Poi vide in acqua un’imbarcazione solitaria a luci spente. Sicuramente gli occupanti non desideravano di essere scoperti e quello strano velivolo sulle loro teste non fu molto gradito. “Gabbiano” li agganciò con un cavo e li trascinò bruscamente sulla terraferma, insieme all’imbarcazione, fino a farli schiantare violentemente sulla porta di un Hotel. Sganciò rapidamente il cavo e si dileguò.
    Erano contrabbandieri e furono immediatamente trasportati via dalle Forze dell’Ordine. Nessuno riuscì a comprendere come mai il loro motoscafo era giunto fin lì.

    La notte successiva il mare era in tempesta, il giro di “Gabbiano” fu molto breve, ma con il suo gancio non mancò di riportare a riva dolcemente un pescatore ed il suo gozzo, in evidente stato di difficoltà tra le onde sempre più alte.
    Tanuzzo, il pescatore, non seppe mai chi avrebbe dovuto ringraziare per quell’intervento così provvidenziale.

    “Gabbiano” compì le sue prodezze anche nei giorni seguenti e si diffuse rapida la curiosità per alcuni avvenimenti inspiegabili che accaddero soprattutto durante le notti successive in questa zona della Sicilia Nord-occidentale. Per diversi giorni non si fece vivo più nessuno nel magazzino dove lui era ricoverato, tanto da alimentare in lui una speranza flebile che avessero accantonato il progetto museale.

    Trascorsero altre due settimane e poi un lunedì un funzionario arrivò all’hangar per predisporre il trasloco di “Gabbiano”, previsto il giorno successivo, organizzandone i particolari.

    “Gabbiano” aveva già da tempo presa la sua decisione.
    Quella notte abbandonò l’Hangar ed i luoghi che lo avevano visto costruire e sperimentare i suoi virtuosismi per le prime volte. Si alzò in volo piano, girò diverse volte sulla costa contemplando il suo piccolo mondo dall’alto, si attardò su ogni piccolo particolare, ripassando più volte su ogni punta, promontorio, roccia. Poi si abbassò vicino all’acqua, sentendone lo sciabordio, il lentissimo incedere delle onde, risalì poco più su e poi ritornò ancora una volta sui luoghi così bene impressi nei suoi ricordi finché non fu sazio, colmo, quasi felice.

    Cominciò allora a salire di quota, girando su se stesso, finché non raggiunse la massima quota possibile, con il motore al massimo e le strutture tutte in tensione, fino al limite sostenibile. In quel lunghissimo istante “Gabbiano” spinse il suo sforzo al culmine, volutamente, e, dopo alcuni istanti, viti, bulloni, chiodi iniziarono ad essere espulsi dalle strutture, dalle ali, dal motore, dalla cabina cadendo giù come una pioggia leggera, seguiti, dopo alcuni istanti, dalle parti strutturali che non riuscivano più a rimaner saldate tra loro, disgregandosi in una coerente pioggia di rottami ora molto vigorosa, quasi esplosiva.
    Perse ogni contezza di sé mentre si dissolveva in aria.
    I pezzi caddero sul mare dell’Addaura dove si trovano, presumibilmente, ancora oggi.

    Vincenzo si svegliò, preoccupato e completamente frastornato. Era stata una mattinata davvero impegnativa. Si era addormentato sul prato, dopo un picnic consumato da solo, in riva al mare, davanti al magazzino che ospitava l’antico idrovolante. Il sogno era stato incredibilmente realistico e Vincenzo vagava con la mente tra la realtà e le vicende appena vissute nella sua fantasia. Si avviò verso il portone dell’hangar, che era aperto come lo aveva lasciato.
    “Gabbiano” però non c’era più.

    (Nota: alcune foto sono state trovate sul web e quella del “Gabbiano” qui)

    Palermo, Racconti ucronici
  • Un commento a “Racconti ucronici, cronache di una Palermo possibile: il Roosevelt”

    1. Chissà perché la Sicilia , anzi Palermo, ha rinunciato alle attività aeronautiche in proprio. La sperimentazione del secolo scorso potrebbe trovare nuova linfa nelle innovazioni moderne, partendo dai droni…
      Affascinante racconto, un vero e proprio “viaggio” in un sogno d’altr tempi!

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