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Biografia: Palermitano di nascita, madonita nel cuore, vive dal 1978 i colori, gli odori e soprattutto i sapori della nostra città con affetto semplice ed incondizionato. Laureatosi nel 2003 in Ingegneria Civile a Palermo, da allora svolge la professione di progettista ed imprenditore. Spinto dal consiglio di un’amica, si è scoperto blogger nel suo Muddiki. Un piccolo consiglio, quando parla di arancine, non contrariatelo mai.

Mimmo Caruso
  • Non è mai per sempre

    Credo di amarla ancora…nonostante tutto.
    Adoravo le piccole cose, che faceva.
    Quando l’accompagnavo al Capo per fare la spesa, mi divertiva vederla pattìare la frutta.

    “A quanto sono i meloni bianchi?”.
    “Sessanta al chilo!”.
    “See vabbe’ e che ce li ha d’oro? Che poi, magari, manco sono buoni da friggere!”.
    “Signorina, lei se li prende e se poi mangia cucuzza me li torna indietro”.

    Ci siamo conosciuti all’Università.
    Lei frequentava le lezioni, io frequentavo il bar.
    Se sei abituato a stare per strada, niente ti fa sentire a casa come il passìo della gente davanti al bar. Continua »

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  • Si cresce?

    La cosa più bella del mondo sono le pesche.
    Anzi, le pesche montagnole.
    Le pesche sono atto d’amore.
    A volte d’estate mia madre mi porta una pesca sbucciata, tagliata a pezzi nel piatto, e “tieni gioia mia, ché è bella fresca”.
    Questo è amore di madre.
    Mio zio Giovanni le pesche se le mangia senza sbucciarle. Le va a raccogliere in campagna.
    Prende il coltello dalla tasca dei pantaloni, ne taglia un boccone e lo manda giù ad occhi chiusi.
    Dice che ad una certa età la polpa della pesca ed il velo della buccia gli ricordano altre cose.
    Questo è amore nostalgico.
    Secondo Marco, invece, la cosa più bella è arroccare il pallone.
    “Perché compa’, quando arrocchi il pallone, eserciti un attimo di libertà individuale.
    Tutti sono lì che pensano alle regole, stanno attenti a non fare falli, hanno davanti agli occhi solo il risultato finale.
    Arrivi tu e…PEEEEEM…un calcio e gli sconsi il gioco.
    Quando mi guardano incazzati e pensano «Marco ma che minchia hai fatto? Hai arroccato il pallone?», io sono contento.”. Continua »

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  • Posto fisso

    È un buon lavoro il mio.
    Lo faccio da due anni e non posso lamentarmi.
    Del resto oggi potere vantare un posto da impiegato comunale a Palermo a soli 29 anni non è da tutti.
    Gli orari non sono un granché, ma il posto è tranquillo e poi qua è un porto di mare: incontri di tutto.
    Quello che più mi piace del mio lavoro è quella che in gergo noi chiamiamo “utenza”…e devo dire che l’utenza palermitana è un piscio. Se ne vedono di tutti i colori.

    “Signor Lei ma è mai possibile che mi avete tagliato la luce, per non parlare che davanti alla proprietà qualche cuinnutu si futtìu una balata di marmo”.
    “Signora le do un modulo per la segnalazione, lo compila, ché facciamo provvedere”.
    “Seee v’avissivu a signalare i corna c’aviti!”. Continua »

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  • Lavoro nero

    “Voscienza benerica” è uno di quei saluti che ti regala la vecchiaia.
    Mastro Turiddu quel saluto se l’era conquistato col rispetto: il rispetto che ottiene chi sa fare una cosa meglio di tutti gli altri.

    “Voscienza benerica, Mastro Turi che fa gliela posso offrire una cosa?”.
    “No Santino lascia stare ché devo fare ancora quattro sirbizi in paese e poi devo andare in campagna”.

    Mastro Turiddu la testa l’aveva sempre al travaglio.
    Suo padre gli aveva insegnato che non è vero che ‘u morto insigna a cchianciri.
    Uno “a cchianciri” ci deve fare l’abitudine, così poi, nsa’ mmai Dio succede qualche cosa, cchianciri ci viene facile.
    E questo insegnamento ereditato, già l’aveva intestato ai figli: “Figli miei a casa nostra ‘u pane può mancare, ma di travaglio ve ne potete saziare”.
    Mastro Turiddu faceva il carbonaio.
    Si ricordava ancora il colore della pelle dei suoi quattro figli alla nascita: bianco come il latte.
    Il carbone, impastato col sudore, quel colore l’aveva ormai coperto per sempre, come già aveva fatto con lui.
    La pelle nera li rendeva invisibili di notte, quando nel bosco girano gli spirti, che si siddìano se uno sta lì a talìarli. Continua »

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  • Il caro estinto

    Caldo, troppo caldo!
    E poi, passi per la giacca, ma sta cravatta è proprio una camurrìa!
    Certo che ce n’è di gente: pare una processione.
    Oggi era giornata di starsene a Mondello, astutare il cellulare e “ciaaaao non ci sono per nessuno!”. Ma ci sono cose che si devono fare, anche se ti siddìa da morire.
    Ma poi quello delle pompe funebri da dove sta pigliando? Minchia se passiamo da Corso Finocchiaro Aprile con le macchine posteggiate in tripla fila di fronte a Nino ‘u Ballerino, ci perdiamo di casa.
    Tanto all’autista chi cinni futti c’ha l’aria condizionata e poi il morto mica c’ha fretta!
    Mi ricordo che una volta in una friggitoria come questa ho chiesto:
    “Un panino panelle e melanzane”.
    “Pagati un panino per il signore!”.
    “Signora me lo fa lo scontrino?”.
    “Sì, aspe’”
    .
    La signora prende un pezzo di carta per il pane e scrive: 1,50 €.
    “Servito, paga un euro e civvuanta”.
    Adoro queste cose… Continua »

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  • Tromba in classe

    Ci sono cose, botta di sale, che quando succedono, anche se a te non ti cambia niente, pensi: “Sì però ‘unn’è cchiù come prima!”.
    Se uno, quando avvicina le labbra alla tromba, ti fa una nota più alta del Do, compa’, c’è picca ‘i fare, hai davanti un musicista, destinato ad entrare nella leggenda.
    Perché se uno suona così, se uno se ne fotte altamente dei limiti della sua tromba in Sib, allora non si crea problemi a sfiorare la perfezione.
    È uno abituato a tastarla la perfezione, ad infilarci le dita dentro.
    Hai davanti ai tuoi occhi uno che, quando serve, è disposto a perdere l’equilibrio per ritrovarselo da solo.
    E del resto una specie di leggenda sul Professore Miglia girava già per i locali a Palermo.
    C’era chi era pronto a giurare che, da quando aveva appoggiato le labbra al bocchino della sua Blackburn, mai una volta aveva aperto la valvola per fare uscire la condensa dalla tromba.

    “Perché cuci’ tu lo devi capire a quel ragazzo.
    Lui, quando suona, dentro alla tromba ci sputa pure l’anima.
    Anzi alla sua tromba lui l’anima ce la regala proprio!
    E, se puta caso, aprendo la chiave dell’acqua, se ne esce pure un po’ d’anima, non è peccato?”.
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  • L’Eletto

    “Mariuzzo, la vita non si sbuccia come le banane. Certo vorremmo tutti che fosse così, ma la vita è una cipolla. Tu sfogli il primo strato e le mani si sporcano di un viola fastidioso. Spogli il secondo strato e incominci a lacrimare. Mentre spogli il terzo strato senti il profumo calabrese e sogni una tavola apparecchiata di sapori piccanti, ma il quarto strato ti fa ancora lacrimare, e, quando sei arrivato al quinto, beh al quinto sai che già è finita, che non c’è un altro strato…puoi solo sperare che il soffritto venga buono e non si bruci.”.
    Il Dottore Pippo Pericotti cercava in qualche modo di spiegare al suo segretario qualcosa. Qualcosa che leggeva sul fondo di quella Guinness calda, qualcosa che non gli era chiaro, qualcosa che, in quel momento, aveva deciso che il suo segretario si chiamava Mariuzzo, invece che Fabrizio, qualcosa che di sicuro non lo avrebbe fatto dormire e, da come andava la serata, probabilmente non avrebbe fatto dormire neanche Fabrizio.
    “Pippo, ma quale Mariuzzo? Fabrizio sono! Amunì finiscila cu stà birra, che siamo alla fine e oramai il grosso è fatto!”.
    “Fabrizio, te la posso dire una cosa? Come un fratello?”.
    “Amunì”.
    “La verità, botta di sale, è che sugnu stanco!
    Da due mesi tampasìo giorno e notte in giro per fare che?
    Accucchiare voti! Voti! Voti! Perché?
    Perché è peccato che il figlio dell’Onorevole Pericotti, che sparte è pure medico, non segue le orme paterne! E allora che si fa? Candidiamolo! Botta di sale a quando vi è venuto in mente a tutti quanti!”. Continua »

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  • Santo

    Averlo chiamato Santo l’aveva un po’ segnato per tutta la vita. Non era nemmeno il nome del nonno, anzi a cercare bene di “Santo” in famiglia non ce ne erano mai stati. Eppure la decisione, sap’iddu perché, era caduta proprio su quel nome.
    Ora, se porti un nome del genere, accompagnato tra l’altro da una faccia da bravo picciotto, le strade sono due: O ti accolli battute del tipo “Compà amunì veniamo in campagna da te a Pasquetta! Tutti al campo Santo!…”, oppure te ne fotti ed a dispetto del nome scegli di essere un grandissimo figlio di cacata.
    Santo aveva prediletto la seconda opzione e, devo dire, la cosa gli era riuscita pure bene.
    Tra i frequentatori della trattoria di Zio Nunzio Stappagazzose aveva saputo guadagnarsi per anzianità e rispetto degli altri avventori il tavolo personale, un onore da non sottovalutare, considerando la giovane età.
    Pochi tra gli avventori godevano di un simile privilegio. Zio Nunzio li aveva classificati in base al modo di mangiare. Continua »

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  • “Senti noi dobbiamo parlare…”

    Inizia più o meno quasi sempre con “Senti noi dobbiamo parlare”… Ecco se sentite questa frase dovete pensare solo due cose:

    1. Minchia! (perché la vostra vita così come la conoscete, sta per essere resettata).
    2. Bafantoculo! (perché quando ci vuole ci vuole).

    Abbandonate ogni ragionamento filosofico annesso e connesso all’avvenimento, i vari:
    “Forse è un momento di confusione”,
    “Sarà che l’Ariete è in opposizione con Venere e transita su Saturno…”,
    “L’avranno rapita stanotte gli alieni e le hanno innestato un chip nel cervello”

    sono spiegazioni che vi faranno sentire meglio ma … pssss …. detto tra noi …. avvicinatevi .. piano così … chè non lo deve sentire nessuno … ecco porgete l’orecchio: “VI HA PIANTATO E BASTA!”. Continua »

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  • Vuccirìa

    “Matri Maria quanto chiance ‘stu nutrico! Ma che c’ha?”.
    “E che deve avere? Nascìu oggi…diciamo che è ancora pigghiato dalla botta…chiance perchè non ne capisce niente”.
    “Ammia mi pare ‘n’anticchia lariuzzo”.
    “Mi devi scusare cuci’, ma tu c’hai le corna come un crastagneddu, le orecchie a punta e magari la coda…. E ‘u picciriddu ti pare làrio?”.
    “Sei bello tu….che c’hai l’ali ‘i palumba”.
    “Amunì abbiamo tutta la vita di ‘stu picciriddo per litigare… Ma l’hanno scelto il nome?”.
    “C’è picca da scegliere, come suo nonno Mico lo chiamano”.
    “Domenico?”.
    “Sì, anche se a lui gli piacerà di più Mimmo”.
    “Pure a me mi piace Mimmo, secondo me gli sta bene”.
    “Miiii come mi devo divertire con questo! Scommessa che st’armuzza nnoccente gliela porto al mio principale?”.
    “Che fa già incominci? Dagli il tempo di farlo vattìare…. Eppoi dimmi che cinni può futtiri al tuo principale di avere un’anima in più. Ormai all’Inferno ve li portano a carrettate!”.
    “Effettivamente manco sappiamo unni l’avimo a mettere. Tra politici e businessman ci sono giorni che ne arrivano con le coffe”. Continua »

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  • Villa Giulia

    Esci di prima mattina per fare ginnasticaaa, la radio a tutto volume ti piace la musicaaa”. Quando a Mauro una giornata ci trase giusta, pure se è senza voce, sinni futte e canta. L’ultimo ciddì, comprato a cinque euri da Saverio Canta Napoli gli furrìa nella testa, meglio che nello stereo.
    Compà senza sole siamo? Con sta giornata di lusso era peccato se non ce la buttavamo”.
    Ad ogni parola le dita tese della mano acchianano e scinnuno in mezzo al petto vuncio per i dieci minuti al giorno di panca piana.
    Compà l’hai vista sta Porsche, è troppo corna dura, minchia, la prossima macchina che mi compro deve essere così sportiva che ci devo mettere ‘a tuta e i scarpi ‘i tennis“.
    Il sole a chiummo di mezzogiorno quarìa la strada e magari l’anima, pure ai cani ci siddìa tampasiare strada strada, eppure…magari loro….a Palermo…..in mezzo a una strada…tampasìano. Continua »

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  • Foro Italico

    Botta di sale quanto è bella la Signorina! Arriva puntuale alle 8:45, traffico permettendo. Quattro colpi di buongiorno a tutti, stacca dalla porta il pizzino di quelli messi a turno, con due scoppi di chiave apre la porta e: “Piano piano, accomodatevi in sala d’aspetto che ora vi chiamo uno per uno”.
    “Signorina oggi il dottore puntuale viene? Che ci devo parlare per mia figlia…”
    “Signora Lo Manto, mi dia il tempo di sedermi, che ancora manco il piccì ho acceso. Che fa non lo sa che il dottore, quando arriva, arriva per tutti? Si accomodi che, quando è ora, la chiamo io”
    Il piccì, finalmente acceso, saluta la Signorina con un Buongiorno Rosy, che furrìa per lo schermo, cambiando ogni secondo colore. Pure gli occhi furrìano a taliarlo.
    Il dito laccato scorre sulla lista del turno: “Signor Pizzurro lei deve fare ricette o è per il dottore?”. Per ogni nome la Signorina ha un’attenzione diversa. Li conosce tutti la Signorina. Sa chi è degno di riguardo e chi piuttosto meriterebbe un bel Bafantoculo di prima mattina. Ma la Signorina, santa pazienza, ha un sorriso per tutti. Continua »

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