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Biografia: Laura Guttilla è nata a Palermo il 16 luglio del 1985. Si occupa di Comunicazione e Marketing in diversi settori: hair&beauty, fashion, design, turismo. Del mondo gli piace soprattutto osservare per capire il senso delle cose: per questo la sua prospettiva preferita è quella semiotica. Sempre indecisa tra restare e partire, crede che Palermo sia un grandissimo amore incompiuto.

Laura Guttilla
  • La “faccia buona” di Palermo: la musica indie

    Premesso che non sono un’esperta di musica, ammetto che mi piace imparare. Avere un fidanzato che non ascolta mai musica “normale” – cioè, come forse vorrebbe urlarmi lui ma non lo fa per troppo amore, banale – mi ha insegnato che esiste, nel vasto panorama musicale, anche un termine strano: indie. Indica – mi si dice – il panorama di musica indipendente, fuori dal circolo delle etichette musicali di prestigio, da Mtv e roba varia, che al massimo finisce sul programma Moby Dick di Radio2.

    Qual è la notizia? Che i siciliani (ed i palermitani in primis) la fanno da padroni. E non lo dico io, o il mio fidanzato: ma il prestigioso giornale inglese The Guardian (qui). Leggendolo scoprirete che, oltre ai big di sempre (da Vasco Rossi a Jovanotti), vengono citati due giovanissimi cantautori siculi indicati come promesse della musica italiana: si tratta di Colapesce e Dimartino. Continua »

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  • Marzo 1992 – maggio 2012

    Marzo 1992
    Hanno ucciso vicino casa mia un signore per strada. Erano le nove di sera, non abbiamo sentito nulla. Soltanto dal filo rosso che arginava la zona in cui è caduto il cadavere e le facce sconvolte dei vicini ho capito che era successo qualcosa di brutto. A mamma non l’ho detto, ma ho paura.

    15 aprile 1992
    Mamma è tornata da scuola a Brancaccio alle sette di sera. A volte mi chiedo se non voglia più bene ai suoi alunni che non a me. Quando mi lamento mi dice: «Non essere gelosa, Laura. Tu hai mamma e papà, una famiglia quasi normale e non vivi in mezzo alla mafia».

    23 maggio 1992
    Dicono che è successo qualcosa di grave. Parlano di strage e di morti ammazzati. Il nonno doveva tornare da San Vito nel pomeriggio. Era andato a pescare come un sabato qualunque e invece adesso è fermo in autostrada all’altezza di Capaci. Non fanno passare nessuno; ovunque detriti e tanta confusione. Dicono che è morto Giovanni Falcone, un giudice importante che lotta contro la mafia. Continua »

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  • Il cielo sopra Berlino

    Palermo...Alexanderplatz

    «Se Armilla sia così perché incompiuta o perché demolita, se ci sia dietro un incantesimo o solo un capriccio, io lo ignoro. Fatto sta che non ha muri, né soffitti né pavimenti: non ha nulla che la faccia sembrare una città, eccetto le tubature dell’acqua» (I. Calvino, Le città invisibili)

    Credo che se Berlino potesse scegliere, sarebbe la città sottile di Armilla, perché del peso dei confini non riesce ancora a liberarsi. Oswalt l’ha definita “città senza forma”, ma forse questo va bene per Palermo, che si espande facendo ciao al mare e perdendosi tra le sue montagnette. Berlino ha una sua incomprensibile forma, che è la forma della storia. Perché la storia ha deciso di trasferire qui il suo domicilio nel XX secolo: dove ti giri ti giri ne trovi un pezzo pronto a raccontarti di guerre, divisioni, sangue, capitalismo, industria, rinascita. Come sia sopravvissuto questo popolo a tutto ciò resta una delle domande irrisolte di questo viaggio. Continua »

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  • Semprefreschi allo Zen

    Questo post doveva iniziare così: Lo Zen 2 è il male di Palermo, quello che c’è in ognuno di noi. E invece comincia così: Lo Zen 2 è il bene che ognuno di noi fa. Che potrebbe fare. E che forse non fa.
    Lo scirocco palermitano, che si infila persino in mezzo ai denti e secca anche il palato, mi fa fatto cambiare idea. L’ho incontrato una mattina d’agosto al quadrilatero dello Zen 2, quello compreso tra le vie Costante Girardengo, Fausto Coppi, Agesia di Siracusa, Marchese Pensabene, Rocky Marciano e PV 46.
    La curiosità spinge i miei occhi a cercare dentro le vie qualcosa di nascosto e proibito, ma quello che vedono è solo quotidiano abbandono. Lo Zen 2 è un’isola esotica e lontana, separata spazialmente dal resto della città, sia dalla parte bella che da quella brutta. Continua »

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  • Tutti i lavoratori hanno una dignità, anche quelli del Ce.fo.p.

    La parola “fine” è corta, ha solo quattro lettere: due vocali, due consonanti che fanno due sillabe. Indica un periodo temporale ben preciso: è un punto, con un a capo (si spera). Eppure per gli impiegati del Ce.fo.p. è una parola diluita nel tempo e negli spazi di un conto corrente perennemente in rosso. Da dodici mesi senza stipendio, di mestiere ormai fanno i manifestanti. Le mani che questuavano sotto Palazzo d’Orleans sono diventate dapprima pugni per sfogare nella violenza la disperazione e adesso sono giunte, in preghiera, nella speranza di poter conservare almeno il loro posto di lavoro.
    Il Ce.fo.p., per chi non lo conoscesse, è un ente di formazione fino a qualche tempo fa accreditato con la Regione Siciliana. Conta circa 1100 impiegati – anche se il numero preciso degli assunti è un mistero – ed è uno dei più grandi centri di formazione in Italia.
    Qualche giorno fa è arrivato alle sede dell’ente un fax dalla Regione Siciliana per l’avvio della cassa integrazione in deroga, ma ancora non vi è nessuna comunicazione certa. La possibilità della cassa integrazione è stata accolta con stupore, amarezza, sollievo. Le sedi tuttavia non sono deserte: tutti giorni insegnanti, tutor e direttori si recano nelle scuole ma non svolgono nessuna attività. I corsi sono stati sospesi perché non rifinanziati dalla Regione. Continua »

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  • La rivincita del balcone

    Nei miei 14 mesi trascorsi a Bologna mi sono sempre chiesta come facessero i bei palazzi antichi del centro a non avere i balconi. E soprattutto mi chiedevo quali vie di fuga avessero gli abitanti di quei palazzi antichi nei momenti di malinconia urbana. Perché il balcone in fondo è un po’ un rifugio: del fumatore appestato che altrimenti infetta la casa di cancro e di tabacco; dell’uomo agreste che coltiva un angolo di campagna nel suo pezzo di città; delle vecchiette che non uscendo più di casa vivono ormai nei passi e nelle incertezze della gente che vedono dall’alto.
    Il balcone bolognese è spesso interno, nascosto, camuffato da terrazzino: non dice niente della vita della strada. Tutto l’opposto del balcone palermitano. Bologna è una città che, sia per ragioni climatiche che a causa del coprifuoco, vive molto gli spazi interni: la strada, così come la piazza, sono vivibili solo in piena estate e nelle ore diurne. D’inverno si sta stipati nei locali in cui la distanza prossemica è pressoché azzerata e, solo coi primi tepori, appaiono capannelli di gente seduta al centro di piazza Maggiore o piazza Santo Stefano, che finalmente si animano dopo essere rimaste deserte per mesi. Momenti di riappropriazione urbana stagionale. Del resto ogni città ha i suoi: ad ogni primavera Bologna inaugura piazza Maggiore, Palermo piazza Magione. Continua »

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  • Il diritto di chiudersi in bagno

    Stare lontano dalla tua città d’origine ti dà il privilegio di apprezzarne meglio i contorni e le sfumature. Quella giusta distanza che permette la visione d’insieme, garantisce di godere a pieno di un’opera d’arte, mette a fuoco tutti i difetti. E ti permette il confronto costante tra la realtà che hai lasciato e quella che hai trovato.

    Ogni cosa di Bologna io – non posso farci niente – la paragono a Palermo. Per quanto il tessuto sociale e urbano siano molto differenti, il mio è un meccanismo automatico, autolesionista, normale. Deleuze e Guattari lo chiamano apparato di cattura, per qualcun altro è semplicemente la maniera di dar senso a qualcosa, attraverso le relazioni di differenza. Per me è diventata la condizione stessa del vivere tra due città. Continua »

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  • Le ragioni di una, cento, mille proteste

    “Freddie” ha scritto (23 dicembre 2010 alle 11:20): «Tranquilli tutto a posto! oggi è il 23 Dicembre le vacanze di Natale sono arrivate, le proteste sono improvvisamente cessate e del decreto Gelmini non importa più a nessuno». Vorrei poterti dare ragione, caro Freddie: il Natale, il panettone, tutto si dissolve (e dunque si risolve). Credo, purtroppo, che non finirà qui. E anche se finiranno, inequivocabilmente, le proteste per una riforma sulla via dell’approvazione, non è finito il tempo delle discese in piazza per il popolo italiano.
    Lo so benissimo che da anni oramai l’agitazione studentesca a Palermo è fissa come gli scrutini: da ottobre a dicembre gli studenti manifestano, occupano, autogestiscono e quando va male distruggono. Del resto, il movimento delle Pantere nel 1989 iniziò proprio da qui, dall’occupazione della facoltà di Lettere e Filosofia (allora i ministri incriminato erano Ruberti e Galloni). Continua »

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  • Pezzi…bulgari!

    Pezzi...bulgari!

    Pezzi...bulgari!

    Qui Bulgaria, che chiamano periferia dell’Europa. Dove esiste ancora una moneta locale e il fascino è ancora quello dell’impero bizantino. Venditori di pollanche per le strade, piccoli chioschi che salvano i turisti siciliani dai digiuni forzati. Calzoni, pizzette, rollò: l’impasto è molto morbido, il formaggio un po’ salato, le dimensioni circa il doppio degli omonimi italiani e costano soltanto 2 lev (meno di un euro). Rassegnamoci: non l’abbiamo inventato noi palermitani il pezzo di rosticceria, c’è anche qui in Bulgaria.

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  • A Norman Zarcone…no, a noi

    Questo post comincia con una ricerca. Ho cercato “Norman Zarcone” sul sito di Rosalio.it grazie alla funzione “ricerca avanzata” e ho trovato il suo nome soltanto nei commenti. Perché il blog che adoro non ne ha parlato?
    Premessa: io odio la retorica della lacrima isterica da C’è posta per te imperante in certa stampa. Dunque, ho pensato, la scelta del silenzio è magari dovuta a questo, al non voler cavalcare l’onda della tragedia ricamandoci sopra banalità. Cosa assolutamente ammirabile. Il secondo pensiero è stato, invece, riferito agli autori: può darsi che nessuno di loro abbia riflettuto più di tanto su questo episodio. Forse perché è stato considerato da più parti un gesto individuale. Cosa che è, certamente. Ma credo che non sia un gesto isolabile, bensì un pesante segnale collettivo.
    In verità, siamo tutti così indaffarati a non fare la fine di Norman da non poterci fermare nemmeno un minuto a ricordare, commentare, spiegare. Continua »

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  • Arraggiati di natura

    C’eravamo lasciati con un sospiro di attesa, cara Palermo. Con una lacrima che non voleva venir giù, con un distacco che doveva necessariamente avvenire. L’afa d’estate mi ha riportato qui da te, come fa coi coralli rossi sulla riva delle tue spiagge. Figli di quella spuma, noi migranti torniamo con il caldo, pronti a ripartire all’ingiallire delle foglie.

    Cos’è cambiato in questi mesi? In noi tanto. Ed anche in te. Tornare a casa è la conta delle differenze tra ogni andata e ogni ritorno. Mi diverte tantissimo vedere il nuovo per le strade: il venditore di pollanche ai Quattro Canti che prima non si era mai visto, il locale che dai Candelai si è spostato a piazza Sant’Anna in cui si riversano tutti, piazza Indipendenza piena di transenne, i cartelloni pubblicitari appena affissi, Mondello con meno cabine e più staccionate.

    Non è vero che sei così terribile, mia cara Palermo. Io lo sapevo già, e starti lontana me ne ha dato la conferma. Continua »

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  • Ce la dobbiamo fare

    La vigilia di una partenza è sempre un momento importante. Le troppe abbuffate di questi giorni di festa hanno congestionato la digestione ed il pensiero e prendere un po’ d’aria è l’idea più geniale che mi è venuta per svegliarmi dal torpore natalizio. Il primo giorno di saldi, un sabato, un gran casino per le strade, una miriade di potenziali incontri perché tutti saranno buttati in centro per gli sconti. Vale la pena di rischiare, della gente ho bisogno per pensare, ho bisogno dei ruderi nascosti, dei posteggiatori abusivi che scherzano per le strade, di due bambini indiani che si rincorrono per via S. Agostino. Il flusso di persone che cammina per via Ruggero Settimo chiusa al traffico, il rumore di centinaia di passi all’unisono tra un entra ed esci dai negozi è una nenia adorabile. Lo sguardo si ferma sulle mille ditate delle vetrine, opache di alito e malumori. Continua »

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  • Piazza Venezia

    Solita sera infame di ottobre. Il caldo che non cessa, i brividi d’autunno che ti sorprendono all’alba. Dentro la voglia di far tardi, così tardi che il giorno dopo devi per forza dormire tanto, devi svegliarti rincoglionito, con le parole in differita e il mal di testa che ti fa compagnia. L’ennesimo sms al cellulare, gli amici ti aspettano al solito posto, che da un po’ è diventato piazza Venezia. Così, per caso, un giorno ci siamo trovati lì. Un po’ dopo la Champagneria, sotto i Candelai, prima della Vucciria, in una terra di mezzo che appartiene a qualche posteggiatore e a qualche signora affacciata al balcone che stende i panni alle due di notte.
    La piazza è affollata di gente che conosco, che ho già visto, compagni sconosciuti di serate dalle luci arancioni, ognuno ha sulle spalle il proprio peso e talvolta sembra trascinarlo a fatica. Continua »

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  • Pendolare

    Estate. Periodo di vacanze, di viaggi, di partenze. Chi lavora o studia fuori torna in patria, chi in patria ci vive fugge lontano (anche solo con il pensiero). I racconti dei “ritorni” sono le favole della nostra contemporaneità, tessute coi fili della nostalgia, del distacco, della mancanza, della scoperta. Chi torna, ogni volta che torna, ha il proprio rituale: si va a mangiare l’arancina al Touring, lo sfincione al panificio sotto casa, non si rinuncia al pezzo da Ganci, si fanno scorpacciate di cannoli perché chissà quando un altro lo rivedo più. Poi c’è il panino con le panelle, il quarume e le stigghiole mangiate rigorosamente sotto il ponte di viale delle Scienze. C’è chi la sabbia di Mondello è la più bella del mondo, pure meglio di quella delle Hawaii, chi il kebab è un piatto arabo ma come lo fanno a Palermo nessuno mai. Continua »

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  • Ode a viale delle Scienze

    Viale delle Scienze

    Com’è strano passeggiare per i viali dell’Università in questo torrido agosto. Dal Santi Romano la voce di Vasco che si perde in una eco prolungata, qualche podista che nonostante l’afa non si arrende. Il solito cane mezzo appisolato sui marciapiedi stranamente vuoti. La memoria si assapora in un pomeriggio quieto di fine estate. Le principesse candeggiate nascoste dietro le grate di Agraria; l’assalto alla segreteria fin da due ore prima dell’apertura; gli alberi bottiglia con i loro fiori fuxia carnosi e la loro spuma lattiginosa che tanto mi hanno fatto compagnia in questi anni. La scritta che segna la Facoltà di Ingegneria, con il suo bianco e le sue scalinate; i vetri a specchio del Polididattico che quando ero piccola mi sembrava un’astronave. Gli omini dei cartelli che fanno gli esercizi nei giardinetti, le panchine di legno – quanti libri ho ripetuto su quelle panchine – a cui dovrebbero dare la laurea honoris causa. La Facoltà di Economia e il bar di Architettura, meta preferita per i pranzi frugali e l’acchiappo dei ragazzi. Continua »

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  • Strade-salotto, strade-corridoio, strade-negozio

    A Palermo ci sono strade-salotto, che i palermitani sembrano percepire come un prolungamento della propria casa. È una considerazione che faccio spesso quando attraverso a piedi la via Matteo Bonello, con le signore sedute su piccole seggiole dei loro soggiorni antichi proprio davanti alle porte sempre aperte delle loro case. La credenza scura e il tavolo di marmo che si intravedono, un odore di frittura persistente, la tendina a fiori svolazzante che fa da sipario. Il loro sguardo si incrocia al mio curioso e mi ammonisce.
    Ci sono, poi, le strade-corridoio, quelle che i palermitani attraversano senza guardare, come se si stessero spostando dalla cucina al soggiorno, e me ne accordo sempre quando passo da via Papireto e rischio di investire qualche nerboruta signora con a spasso cinque pargoli, una mamma chioccia e i suoi pulcini versione made in Sicily.
    Poi ci sono le strade-negozio, quelle dove tutto è in vendita, dove non c’è spazio per l’attraversamento che non siano finalizzato all’acquisto: è questo il caso di via Bandiera. Continua »

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  • L’Alloro e il Giusto

    Il Giardino dei Giusti

    Le luci arancioni di Piazza Marina, il solito posteggiatore con le braccia larghe e il kit da abusivo doc: capellino e fischietto uniti da un’unica espressione; blocchetto di pizzini in due versioni, rosa fragola e verde; marsupio che tintinna di un suono che fa incantare i bambini. Villa Garibaldi mi guarda, con la spigolosa cancellata chiusa e i suoi alberi immensi.
    Le foglie secche dei ficus, sul marciapiede, ti invitano a prenderle a calci per scaricare la tensione di una giornata no. C’è l’odore delle pizzerie, qualcuno che esce da teatro, un caldo appiccicoso che fa venire il fiatone persino alle zanzare, lo strascinio delle infradito sul cemento polveroso. Continua »

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  • Palermo nascosta: l’Asilo Garibaldi

    Palermo è una epifania continua. Per salvarti da questa centrifuga di emozioni, devi essere o molto distratto o davvero così afflitto da non accorgerti delle meraviglie che ti circondano. Il termine meraviglie ovviamente non va inteso solo come un nome plurale usato per descrivere i castelli delle fiabe, indica anche i vuoti, le sorprese che il tessuto urbano palermitano sa dare, inaspettate come i fiori che sbucano improvvisamente a giugno dal vaso dimenticato sul balcone.
    Così, capita che per caso, mentre corri con passo da gazzella verso la Stazione perché ti aspettano da un quarto d’ora e non è il caso di farsi attendere tanto, con la coda vigile dell’occhio ti imbatti in un buco strano, uno di quei vicoletti della via Maqueda che, sebbene non abbiano un aspetto granché rassicurante, invitano ad essere attraversati. E siccome il mio ritardo minimo è di trenta minuti e in fin dei conti alla Stazione rischiavo di arrivare, discostandomi dal mio standard, quasi in anticipo, ho deciso di addentrarmi. Il vicolo di cui parlo è proprio accanto Palazzo Comitini che, con la sua grandezza, domina strada e marciapiede, non lasciando vedere null’altro che la propria opulenza. Continua »

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  • La Standa, le madeleine e gli ambulanti di via Roma

    Bancarella
    (foto di Pasquale Vella)

    Il 109 ha finito la sua corsa a Centrale. Guardo il grande orologio – fermo, chissà perché – che a modo suo segna quante nuvole passino su questa Palermo. I cordoli della via Roma sono davanti a me, con il loro giallo opaco, mentre passa l’ennesimo 101, serpente di lamiera nella giungla metro – palermitana. Continuo a camminare, marciapiede sinistro, tanto tra cinque minuti passerà un altro 101 e io lo perderò nuovamente. Le insegne multicolor dei negozi mi fanno compagnia, mentre con la coda dell’occhio cerco l’ultimo paio di scarpe scontato al 70% da aggiungere alla mia collezione. Ancora due passi e poi dovrò obbligatoriamente fermarmi, come faccio tutte le volte che passo da qui. L’icona Standa, di un rosso magenta mangiato, i vetri rotti, gli ingressi serrati e impolverati sono la mia madeleine. Attaccata a queste vetrine ho passato molto tempo della mia infanzia, a guardare i modelli di Barbie appena usciti, con la loro confezione di plastica trasparente e i loro splendidi corredi, con le décolleté fuxia con il tacco a punta e il logo Mattel in pendant. Continua »

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