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giovedì 18 apr
  • Quaderno di Palermo 20

    Se noi umani dessimo un’occhiata sia al lungo passato che abbiamo dietro, sia alla breve vita presente che appena appena si colloca davanti, dall’alba delle nostre origini possiamo vedere che tutto è sedimentazione e ovunque il proprio sguardo si rivolga. Così è per la terra, per esempio, sulla cui superficie, i popoli strato dopo strato, in ogni epoca e in ogni spazio con la loro volontà e il loro atteggiamento e la loro cultura hanno creato un suolo diverso dove poter camminare e reggersi e anche cadere quando alla fine non c’era più sostegno perché altri tempi incalzavano. Così è per l’aria che si respira e quella ormai spirata dagli stessi popoli, che nonostante l’invisibile apparenza non è mai la stessa poiché rinnovata e ricambiata e ancora una volta riassorbita, mentre si aspetta un nuovo soffio che ancora non si sa da che parte potrebbe venire. Così per i fiumi con la loro fluida corrente che non smetterà mai di percorrere il suo variabile tragitto trasportando, accumulando, infine depositando sul fondo e sulle sponde il materiale in sospensione strappato in silenzio da quelle civilizzazioni che si sono stabilite sulle loro rive. Così pure per il mare, il cui spazio si direbbe non abbia fondo e che da secoli e secoli continua a ricevere imperterrito tutto quello che i fiumi trascinano, che l’aria espelle e che la terra vomita, come se lui non avesse nessun limite per accettare quello di cui gli esseri umani si disinteressano, quando a loro volta essi dimenticano che il mare all’improvviso si può ribellare e quindi restituire malamente, se non tutto, almeno una parte dell’accumulo raccolto perché di sicuro non accettato nel suo profondo.
    Ebbene, se uno pensa alla città di Palermo e ai suoi abitanti, può notare come qui tutto sia un unico sedimento i cui strati hanno una fortissima relazione di comunanza tra loro, molto più di tanti altri posti della stessa latitudine, per non dire dei due continenti ai quali appartengono. E se uno li guarda con accuratezza ma anche con affetto, c’è la possibilità di individuare ogni parte di questo conglomerato fatto sia di pietre che di corpi, di atmosfera e di respiro, oppure di correnti e di movimento, o per concludere di onde e di flussi. Sì, un luogo dove gli elementi si sono accomunati in modo tale che se uno non ci fa caso il primo sguardo rimane insufficiente e alquanto guercio, non concluso. Un posto dove la vita ha mille e una faccia ma che si rivela sempre la stessa, quella fatta di innumerevoli varianti e perció di sfumature cangianti e diverse. Uno spazio che spesso appare come un irraggiungibile deposito di civilizzazioni mai portato a compimento, come se ci fosse sempre qualcosa o qualcuno da aspettare, o dove mancasse ogni volta un tassello. A volte uno ha l’impressione che, da quando si svegliano la mattina, i gravidi sguardi dei suoi abitanti si perdano in lontananza, e nel loro insondabile presente, che è anche il loro disteso passato, siano all’inconsapevole ricerca di qualcosa che sfugge alla loro natura. Loro che sono circondati dal mare e che nel lembo di terra dove vivono, nonostante a ragione o a torto mai smetteranno di sentirsi il centro del mondo, si potrebbe dire che non fanno altro che rivolgere gli occhi verso l’impenetrabile orizzonte quieto ed acquoso, lì dove tutto confluisce, lì da dove può sempre arrivare l’imprevedibile perché da lì, un giorno, tutto si è messo in cammino.

    Attonito.

    Ospiti
  • Un commento a “Quaderno di Palermo 20”

    1. il sedimentare ed aspettare sono i difetti e l’arma segreta dei palermitani, io però ne aggiungerei un’altre l’ignorare: i fatti e le cose che succedono; riguardano sempre le altre persone mai noi. forse questo strano modo di intendere la vita è lagato alla nostra storia, che mai ci ha visto attori principali, sempre ospiti in casa nostra, dal fatto che chiunque dall’imprenditore facoltoso al politico veda la sicilia, in cuor suo, come una colonia dove prendere ciò che gli serve senza nulla dare o molto poco.

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