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sabato 20 apr
  • Malelingue

    «‘Ssa benedica».
    «Sant’ e ricca».
    Rispose quasi automaticamente. E se la trovò davanti all’improvviso.
    Era entrata prendendola un poco di sorpresa. A quell’ora del dopo pranzo, solo sua sorella di solito passava a trovarla. Si bevevano un caffè d’orzo ed erano capaci di stare mute anche per due ore, sospirando di tanto in tanto fino a che non si faceva l’ora che Tina diceva sta scurannu, ti saluto. E invece, quel giorno, era una che lei non aveva visto mai.
    Dritta ca pareva un manicu di scupa, poteva avere trent’anni, vestita di città, i capelli ricci e due occhi che le pareva di avere già visto. Occhi che le avevano già parlato prima di allora. Occhi che stavano continuando a parlarle mentre le si incollavano di sopra. Ma ‘sta furistera Maria non l’aveva vista mai prima. Che ci era venuta a fare a casa sua? Le aveva poggiato una scatola bianca sulla tavola e così com’era entrata se n’era uscita. Aveva solo aggiunto: «tanto, ormai per quello che vale».
    Il fuoco era fatto da poco, un limone bruciava, lamentandosi e mandando un ciauru pizzuto che si infilava in testa prepotente e presuntuoso in mezzo a quello dei cocci rossi del carbone. Il sonno stentava ad arrivare. Un’altra notte uguale ad altre cento notti scure. Abitate da ricordi che arrivavano da troppo lontano. Nìuri anche loro. Ci perdeva le ore a cercare di incollare i pizzuddi di fatti lontani di cui sapeva poco e niente. Troppi anni erano passati. Troppe le date da ricordare. Troppe le facce che si sovrapponevano. Ma pace non ne aveva e manco ne voleva avere. La scatola l’aveva aperta. C’erano buste, legate con uno spago, potevano essere una decina. Parevano antiche. Pure i francobolli erano un poco spiccicati. Ma non le aveva nemmeno prese in mano. A nessuno ne aveva parlato. Sicuro l’avrebbero convinta ad aprirle. ‘I genti sunnu curiusi e si vogliono fare i fatti degli altri. Malelingue.
    L’aveva messa dentro al cassetto dei medicinali, sotto la carta azzurrina che usava per tenere tutto pulito e in ordine. Ce n’era una in ogni cassetto e pure sopra la credenza.
    Non aveva mai fatto male a nessuno, aveva sempre pensato alla casa e alla famiglia. Ora che Santo suo se n’era andato, come aveva voluto il Signore, aveva molto tempo per riposarsi.
    Potava, annaffiava e curava le rose e il gelsomino manco fossero figli suoi, visto che il destino aveva deciso di non dargliene. Si preparava il mangiare, quel poco che le bastava e stava pure settimane intere prima di parlare con anima viva.
    Che poteva volere da lei quella picciotta, venuta apposta da fuori paese? E quegli occhi, quegli occhi che le comparivano all’improvviso se provava a chiudere i suoi e a prendere sonno, la fissavano e la facevano satari ‘n’tallaria e si svegliava con il cuore che se lo sentiva battere nella gola.
    Ogni notte era così. Le avevano levato la pace, quegli occhi. Se solo ci fosse stato ancora con lei il suo Santo ne avrebbe potuto parlare con lui. Ragionava bene il suo Santo. Era stato un marito buono. Lavoratore e senza vizi. Era contenta. Che certe compagne sue avevano dovuto fare i conti con uomini che la sera non s’arricugghievano a casa o usavano le mani invece della bocca. Si erano sposati giovani e avevano campato tranquilli, senza mai una parola in più o una vuciata di troppo, fino a che se n’era andato e a lei non erano rimasti che i fiori e l’orto a cui badare. Sempre invidiata era stata. Lo aveva pensato e lo pensava pure ora. ‘I genti sunnu curiusi e si vogliono fare i fatti degli altri. Malelingue.
    Pure quando Santo se n’era andato per sei mesi a trovare a suo fratello in continente e a lavorare con lui, cercavano di mettere la lingua in mezzo, ma Maria mai li aveva ascoltati. Malelingue sono, pensava. E tirava avanti e lo aspettava. Lui le scriveva lettere e le diceva che stava bene e che tornava presto. E difatti poi dopo sei mesi era tornato e così le malelingue ce la finirono di mettersi nel mezzo.
    Nei sogni confusi che la torturavano, quando Maria rinisciva un poco ad appinicarisi spuntavano sempre quegli occhi che l’arriminavano tutta. Le parlavano nel sonno, ma Maria non le voleva sentire e pensava che erano le malelingue che si infilavano pure nel letto per ‘nzuttarla e per metterle pulci in testa mentre dormiva. Una notte nìura più delle altre, decise che non avrebbe mai aperto quella scatola, che solo scherzo delle malelingue poteva essere, e giurò che l’indomani mattina, col primo fuoco, avrebbe bruciato tutto, niente avrebbe potuto più levarle la pace. Con questo pensiero, l’ultimo, finalmente, prese sonno. Per sempre.
    Toccò a sua sorella Tina sbarazzare la casa e occuparsi del funerale. E dentro al cassetto dei medicinali, sotto una carta azzurrina, trovò una scatola bianca. C’erano tante carte, disse al marito la sera, mettendosi a letto. Le ho buttate nel fuoco. Ah! C’era pure una fotografia di Santo, bella presa da vicino. Si vedono bene gli occhi, pare che parlano, la mettiamo vicino a quella di Maria, sopra il cantarano. Così stanno insieme. E si addummiscì.

    Sicilia
  • 8 commenti a “Malelingue”

    1. Ma è un testo bellissimo, complimenti per la scelta. Di chi è??

    2. Ehm…Ana. In che senso di chi è? Mio no?;-)

    3. bhe..che dire?..meravigliosa come sempre!!..complimenti Maria!!!

    4. Dritto al cuore!!! Brava!!! 🙂

    5. …gli occhi che parlano senza dire una parola….forse Maria aveva capito…e nella tomba si è portata un segreto mai svelato….Bella e toccante…come sempre.

    6. Delizioso racconto pieno di sentimenti anche i più contrastanti . Maria in poche righe riesce a farmi vivere ,condensandola magistralmente , la vita di una donna devota al marito che aveva sempre amato , al punto di aver convinto una parte di sè che quelle voci erano solo Malelingue . Eppure quella donna gli sembrava di averla già conosciuta, ed i suoi occhi gli mettevano paura. Le lettere non le aveva volute leggere ma la figura della donna non riusciva a cancellarla. Perfida questa donna misteriosa.
      Complimenti Maria

    7. Maria, ma può essere che, come sentito dire per le calli veneziane, a mprissiuani è peggiu ra malatia?. Può essere che la comunanza di quel tratto somatico, non indifferente, per carità, fosse mera coincidenza? Avrebbe potuto trattarsi di una nipote, figlia del fratello del defunto marito a lei sconosciuta? (si era trasferito al nord). Può anche essere che il marito più che Santo potesse essere riavulu, Gesù e Maria casa.
      Non lo sapremo mai.

    8. Bellissimo e dolcissimo. Grazie ancora una volta, Maria.

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