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giovedì 28 mar
  • (Ancora) “palermitanesimi”/1

    C’è poco da fare, non basta una vita intera vissuta a Palermo per abituarsi fino in fondo. Per assimilare certe caratteristiche dell’agire del palermitano – assumendosi tutti i rischi dell’usare la locuzione “agire del palermitano” –, di certe forme (o formalismi) inevitabili, che ben conosciamo eppure riscopriamo ogni giorno.

    Io li chiamo “palermitanesimi”, anche qui assumendomi il rischio della generalizzazione e del cliché. Che il discorso sul palermitanesimo sia uno dei temi preferiti del palermitano (appunto), lo testimoniano anche le pagine del “blog di Palermo” – non son in fondo palermitanesimi i matti di Alajmo, le umanità dense e spesse di Enia?

    Ora, a volte penso che il discorso sul palermitanesimo abbia anche un po’ stancato, con il suo aggirarsi incerto tra bonaria indulgenza e certificazione dell’irredimibilità, tra sorriso assolutore e attestazione dell’impossibilità al cambiamento.

    E però non ne possiamo fare a meno.

    Mi assumo un ennesimo rischio, quindi, nel provare ad impilare il mio contributo alla pila infinita dei palermitanesimi ammonticchiati nelle stanze dei discorsi palermitani.

    Squilla il telefono.
    «Pronto…pronto?» – rispondo [la telefonata è disturbata, rumore di traffico].
    «Sei Simone?».
    «Sì, tu chi sei?».
    «Ho trovato la tua agenda…»
    Pausa.
    «Minchia!».
    (C’è sempre un “minchia!” esclamato in ogni palermitanesimo che si rispetti).
    Stamattina, in bici, sarà caduta dalla borsa.
    «Io sono quello che vende i CD in via XXXX, devi venire da via XXXX e mi trovi.»
    «Grazie! Arrivo!».
    «Da buon palermitano, scatta la diffidenza: “vorrà soldi?”».
    Mi metto in bici. Lo raggiungo.
    «Ciao, sei tu che hai trovato la mia agenda?».
    «Si, eccola qua» [me la porge, la prendo].
    «Grazie, grazie, l’hai trovata lì per strada, vero?».
    «Sì…sì».
    Silenzio.
    La mia diffidenza prende una lezione, a questo giro.
    «Senti, ti posso offrire qualcosa, un caffè…dimmi tu» – faccio.
    «No, no… vedi, la bancarella…qui non la posso lasciare. Non c’è un bar, qui».
    «Dai, vado e te lo porto».
    «No, non c’è bisogno…».
    Il “non c’è bisogno” accende qualcosa.
    Il palermitanesimo si configura.
    Cambio strategia.
    «Ma guarda, non è mica per la agenda. Solo perché mi fa piacere…» – replico.
    «Ah, in questo caso… Piacere, mi chiamo Piero» [mi porge la mano].
    La stringo e: «Io sono…»
    «…sei Simone, lo so…la agenda. Comunque, se non è per l’agenda…»
    «Vero, mi fa piacere!»
    «Allora te lo accetto.»

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