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venerdì 29 mar
  • L’Africa al supermercato

    Durante il giorno, il caldo in Africa, più che toglierti il fiato, ti teneva in allarme, come chi accusa ininterrottamente, il dolore di una legnata in testa.
    La notte era molto peggio.
    Uno scirocco caldo come le fiamme dell’inferno avvolgeva tutto il villaggio che invano tentava di riposare.
    Moataz che sin da piccolo era sempre stato un tipo molto sveglio, aveva trovato una soluzione geniale: studiava fino a quando il sonno diventava più forte del caldo.
    Una scorta di candele gli garantivano una buona autonomia di luce, con la sua determinazione faceva il resto.

    Come ogni notte, puntuale il piccolo Shariff, invece di stare a casa sua, si trovava davanti la finestra di Moataz.
    Sul davanzale, appollaiato sui gomiti Shariff si reggeva la testa tra le mani.
    Per ore ed ore stava a sbirciare, incapace di realizzare quale ragione potesse tenere Moataz incollato a fissare degli insignificanti pezzi di carta.
    Sospettava che Moataz fosse una sorta di stregone e che quei libri avessero un potere o un segreto che prima o poi avrebbe scoperto.

    Quella era una notte speciale per Moataz. Da quando aveva finito i suoi studi credeva di avere le idee più chiare.
    Quella notte era l’ultima notte nel villaggio che lo aveva visto nascere e crescere. L’ultima notte in quella grande famiglia che un pò gli mancava già. Partiva, destinazione: ITALIA.

    Durante il giorno c’era stata una grande festa per la sua partenza e sua madre, una donna così piccola e magra che sembrava fosse sottovuoto, lo guardava orgogliosa come se fosse stato eletto presidente del suo paese.
    Piuttosto che riposare, anche per quella notte Moataz aveva deciso di leggere e di sfruttare ancora una volta il suo sistema per ingannare il caldo. L’illuminazione agonizzante della candela, proiettava sulla porta del frigorifero i suoi ultimi spasmi. Quel frigorifero rotto, era per la famiglia di Moataz il bene più prezioso. Nel villaggio la maggior parte delle famiglie possedevano frullatori, fornetti elettrici o qualche piccola radiolina. Nessuno di questi funzionava, ammesso che il villaggio avesse goduto dell’energia elettrica; erano dei soprammobili, indispensabili testimoni del prestigio e della rispettabilità di chi li possedeva. Vi era addirittura una famiglia che aveva la fortuna di possedere un televisore degli anni ’70.

    Anche la candela aveva ormai salutato Moataz che al buio, con la disinvoltura di chi si muove in un ambiente familiare, ripose con cura il libro accanto agli altri, nell’unico posto a prova di topo: il frigorifero.

    Si stese per terra e chiuse gli occhi. Sperava che fosse buono il futuro che stava per cominciare, mentre cercava di ignorare l’angoscia e la paura per il viaggio che lo aspettava.
    Sulla finestra Shariff ronfava già da un pezzo.

    Quattordici anni dopo.

    Solitamente ad ora di pranzo, i clienti del supermercato di via Lanza di Scalea non sono tanti. Da quando sono iniziati i mondiali di calcio e la relativa promozione del rimborso totale della spesa non vi sono più orari “morti”.
    I dipendenti del Carrefour non hanno più pace ed anche Moataz che utilizzava questo momento per leggere un po’, fa gli straordinari.
    Lavora spedito come in una catena di montaggio. Selezionando scrupolosamente gli articoli ed imbustandoli per genere.

    Purtroppo a causa di un vecchio problema di emorroidi, mai curate, associate a lunghissimi periodi di totale assenza d’igiene, Moataz ha tra le pieghe delle natiche, nella zona più vicina all’ano per intenderci, delle vere e proprie piaghe.

    La folla alle casse è al limite della capacità del personale. Il lavoro che Moataz solitamente svolge, tollerato in nome della carità verso i più bisognosi, in questo periodo è diventato quasi indispensabile.

    Il caldo e le diverse ore in piedi gli fanno percepire la sensazione di avere come due fiamme che gli stanno facendo prendere a fuoco il culo.

    Approfittando dell’ennesimo cliente che non ha capito un H della promozione dei mondiali e che sta bersagliando il cassiere di domande, Moataz abbandona momentaneamente il posto di lavoro alla disperata ricerca di un immediato sollievo.

    «Dove stai andando?» gli urla il cassiere.
    «Torno subito. Arrivo» risponde.

    Come un animale ferito che cerca riparo dal cacciatore si dirige verso il parcheggio coperto.
    Finalmente, pensa tra sé e sé.
    Giusto un secondo prima di fermarsi, riparato tra due macchine, nota poco più in là vicino al muro, Romina e Giulio*, con i pantaloni abbassati.
    Torna indietro pensando: «E adesso dove vado». Ad ogni passo il prurito aumenta ed a stento riesce a non urlare.

    Fortunatamente i cassonetti della spazzatura sono così pieni, dentro e tutto intorno che riescono a nasconderlo un po’.
    Moataz infila una mano dentro il pantalone e con tutta la forza comincia a grattarsi il sedere tra il muco e il pus delle sue piaghe. Va avanti finché può.
    Sa bene che questa sensazione di sollievo è momentanea ma se la gode tutta che quasi sorride.
    Di corsa torna al lavoro, avendo cura di asciugare per bene la mano sui pantaloni. Davanti l’ingresso del supermercato, si ferma e prima di entrare si regala un’ultima grattatina al posteriore attraverso il pantalone.

    «Ma dove sei stato, amunì» lo rimprovera bonariamente il cassiere.
    Moataz sorride e ignaro sorride anche il cliente al quale imbusta la spesa.
    Tutto scrupolosamente selezionato ed imbustato per genere, ma con una mano che non faremmo avvicinare neanche al nostro peggiore nemico.

    A voce alta dalla cassa accanto una voce ridendo grida: «Moataz sei andato a grattarti il culo vero? Stammi lontano con quella mano altrimenti ti uccido».

    È Shariff che lo prende in giro nel dialetto del loro villaggio.

    Moataz lo ignora e continua a lavorare. Porge i sacchetti e intasca le monetine.

    «Moataz» lo chiama forte Shariff.
    «Moataz» continua a chiamarlo.

    «Cosa vuoi Shariff» gli risponde.

    Shariff lo guarda con gli occhi di chi si è appena arreso ad una trappola: «Moataz cosa siamo venuti a fare qua?».

    * leggi Romina e Giulio.

    N.B.: ogni riferimento a persone o cose reali è puramente casuale.

    Ospiti
  • 6 commenti a “L’Africa al supermercato”

    1. Eh, sig. Scimo’, proprio ieri parlando con Tony le facevo i complimenti per i suoi post, che pur non essendo da Nobel della letteratura tuttavia sono ben scritti..e adesso ne propone uno il cui protagonista principale e’ una mano che gratta un fondoschiena malato? Originale, direi.
      Le sue capacità descrittive son diventate ottime, e se voleva creare un senso di disgusto nel lettore ha avuto successo. Certo, solitamente alcuni particolari andrebbero lasciati all’immaginazione, piuttosto che esplicitarli come lei ha fatto, tuttavia nel complesso un buon pezzo, complimenti.
      PS. Son sicuro che adesso qualcuno guarderà con più attenzione le mani di coloro i quali aiutano i clienti alle casse, e si chiederà: “ma questo le emorroidi ce le avrà?”. Eh, vallo a sapere.

    2. Tu,sicuramente.

    3. Eheheheh, il troll e’ già in pieno swing, che bello.
      Avanti, anche se è un solitario non sia timido, ci faccia ridere.

    4. Evidentemente non mi spiego. Bisogna rimanere in tema e rimuoverò ulteriori commenti fuori tema. Non consentirò che il blog venga utilizzato come una bacheca privata.

    5. bravo gaspare,
      l’inizio mi è piaciuto parecchio, i dettagli quasi morbosi invece, hanno distolto la mia attenzione dai contenuti, è come se, mentre leggessi un libro, scoppiasse un petardo nel giardino di casa mia oppure mi venisse un cacarone 😀 (do you understand?)

    6. Grazie Sig.David tengo in considerazione quanto mi scrive e mi fa piacere che in qualche modo i miei modestissimi scritti le risultino gradevoli.

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