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sabato 27 apr
  • Viale delle Magnolie

    Racconti ucronici, cronache di una Palermo possibile: il viale delle Magnolie

    In un giorno, in un mese, in un anno senza tempo…

    Perché, cos’è il nostro tempo, se non una convenzione, un accordo stretto tra noi umani per non perdere la strada nella successione degli avvenimenti? Un pallottoliere delle nostre azioni che raccoglie la galassia degli eventi sulla terra in uno schema semplificato, utile ad esser compreso facilmente da una moltitudine di bambini, quali noi siamo? Il tempo, quella entità che esiste per noi ma che non esiste come misura assoluta e quindi che forse c’è, ma forse non c’è…

    E quindi, tornando al nostro racconto, in un giorno ed in un momento indefinito del nostro tempo o, se proprio vogliamo collocarci temporalmente, in un periodo intorno all’anno 1950 d.c. della civiltà occidentale (ma potrebbe esser accaduto anche mille anni prima, o potrebbe accadere tra 10, 100 o mille anni ancora del nostro futuro) in un luogo a nord nei dintorni della città di Palermo, crescevano, disposti in due filari paralleli alcuni alberi di Ficus Macrophylla Columnaris. Erano stati importati dall’Australia e piantati da oltre cinquanta anni ed erano quindi già di dimensioni ragguardevoli.

    Il viale era il percorso di accesso per La Conigliera della famiglia Florio, un parco avveniristico per l’epoca in cui fu organizzato e strutturato.

    Via delle Magnolie

    Si trovava fuori dalla città, in mezzo alla campagna, oltre la rotonda di piazza Vittorio Veneto che chiudeva il viale della Libertà.

    Percorrendo il viale della Libertà, si incontrava a destra il Giardino Inglese e il giardino della famiglia dei Conti di Isnello, mentre la grande Villa Trabia era di fronte, più avanti in alto la Villa Oneto di Sperlinga (che poi sarebbe diventata l’Istituto di rieducazione minorile “Malaspina”) e, attigua, la Villa Sperlinga della famiglia Whitaker.

    Accanto a quest’ultima un grande, fantastico parco circolare di proprietà dei Florio, con diversi alberi da frutta e tanti vialetti ad anello intersecati da altri a raggiera, concentrici, che separavano le diverse aiuole, coltivate, a forma di segmenti di corone circolari. Il viale esterno era il più ampio, tanto da consentire il passaggio delle prime automobili, anche nelle due direzioni opposte. Il frutteto era fornito di un impianto di canali per l’irrigazione ed era stato organizzato razionalmente, per colture e filari, da esperti giardinieri.

    Via delle Magnolie

    Al bordo della zona circolare era una grande costruzione architettonica denominata lo Chalet, di gusto raffinato ed elegante, definibile a metà tra lo stile Liberty ed un certo Modernismo di ispirazione vagamente industriale.

    Chalet via delle Magnolie

    Si accedeva al suddetto parco trionfalmente accolti, per l’appunto, dal monumentale viale di Ficus Macrophylla Columnaris, una specie botanica non autoctona, costituenti un colonnato naturale dall’effetto grandioso, come si addiceva alla famiglia Florio ed alle sue frequentazioni nobiliari e regali in ambito internazionale.

    Quando furono piantati, in fila gli uni dopo gli altri, i ficus del viale si ritrovarono vicini tra loro ed a tal punto prossimi da riuscire ad osservare e sfiorare anche quelli del filare di fronte. Per obbligo di vicinato, ogni giorno, tra un “buongiorno”, un “come va”?, o un sorriso, si strinsero amicizie decennali, si formarono legami stretti, un po’ radicali ma anche ramificati, intersecandosi gli uni con gli altri, in relazioni di rispetto e supporto. Tra chi? Ovviamente tra gli alberi. In alcuni casi i diversi esemplari diventarono persino parenti.

    Finché le loro dimensioni restarono ridotte ebbero sufficiente spazio per crescere liberamente nello spazio, ma nel “tempo” (il tempo, quello di cui abbiamo già parlato), iniziarono ad incontrarsi ed a scontrarsi, a momenti, lungo i percorsi delle radici ed in quelli delle fronde. Così accadde, tra uno “scusi, non volevo disturbare”, ed alcune giravolte, approfittando del vento per spostarsi a sinistra o a destra, di volta in volta, di tempo in tempo, che radici e fronde presero via via forme originalissime, a volte sbilenche, ma in ogni caso le più rispettose che poterono, per mantenere cortesi rapporti di buon vicinato.

    Le loro relazioni si strinsero sempre più, fino a divenire intime. Il dialogo si infittì e regolarmente il primo veniva informato immediatamente di ciò che accadeva all’ultimo della fila e percepiva, come tutti gli altri, gli avvenimenti, le gioie e le sofferenze di ciascuna delle altre creature collegate in quella rete, da qualsivoglia posizione essi si trovassero, dal primo all’ultimo.

    Se un umano avesse potuto cogliere, visivamente, la fitta rete di comunicazione che esisteva tra loro, nascosta sottoterra, avrebbe veduto uno spettacolo a dir poco meraviglioso di trasmissione di fluidi in movimento, scariche luminose di flussi energetici, in ogni direzione, in andata ed in ritorno, tra un fulcro ed un suo appoggio intermedio, dal punto mediano al seguente, fino al terminale della rete, in un sussulto, un fremito gioioso quasi perenne.

    Le comunicazioni non avvenivano solo tra i Ficus Columnaris ma tra tutta la grande famiglia vegetale che li circondava, ovviamente in proporzione alle dimensioni ed alla forza vitale di ciascuno.

    Gli impulsi avevano diversa potenza. Così un grande ramo trasmetteva segnali di forte portata verso le sue radici, e le radici grosse li incanalavano via via, scalandone la forza, verso quelle più piccole e, da lì, delicatamente ai capillari radicali delle altre piante, in perenne comunicazione. Gli apparati radicali sottoterra costituivano un reticolo di cunicoli grandi e piccoli: c’erano grandi centri di comunicazione, da cui si dipartivano a raggiera tantissime radici in ogni direzione, e poi c’erano ampie zone in cui la rete di radichette era così fitta da non poter in nessun modo distinguere da dove venissero le une e le altre, a chi appartenesse quella sopra o quella sottostante, in un grandissimo groviglio inestricabile.

    Le reti di alimentazione e comunicazione tra le piante esistono in ogni luogo e tra ogni tipo vegetale. Tuttavia tra i Ficus del Viale si era creato un affiatamento speciale, una simbiosi ed una energia singolare che si diffondeva come un’aura tutt’intorno.

    Quando dialogavano tra loro, si distinguevano gli uni dagli altri senza alcun bisogno di affibbiarsi un nome. Erano tutti in fila, lungo il viale ma uno era fuori dal filare, in una posizione un po’ isolata e con molto più spazio intorno. Lo chiameremo Lollino per semplicità, e sappiamo che lui era molto contento del suo posto. Molto vicino alla zona scorreva un fiume (il Passo di Rigano) e la sua acqua arrivava a impregnare la terra fino alle loro radici. Lollino era il più vicino al fiume e ne coglieva gioiosamente tutti i benefici.

    In seguito al tracollo delle attività della famiglia Florio, nei primi decenni del 1900, il parco cambiò proprietà e fu così disponibile per essere trasformato. 
Il consesso degli umani che vivevano nella città decise, intorno agli anni ’50, di utilizzare diverse parti del territorio circostante al viale per la costruzione di edifici di civile abitazione in mezzo al verde. Tutti amano vivere circondati da alberi e piante, ma spesso non accettano l’impegno che ciò comporta: ciononostante l’entusiasmo per la realizzazione delle case tra gli alberi fu sorprendente. Come spesso succede, man mano che si progettava, gli umani si lasciarono prendere un po’ la mano dagli interessi economici e perciò si convinsero che la costruzione di grandi edifici, contigui e elevantisi al di sopra delle piante non fosse per nulla dannosa e che la convivenza sarebbe stata facile, anzi amabile.

    Casualmente, come se non bastasse, il cottage liberty, lo Chalet che era stato costruito proprio alla fine del viale, una notte si incendiò e dovettero demolirlo lasciando ancora più spazio alla libera edificazione.

    La notizia, come è immaginabile, gettò nello sconforto tutta la famiglia dei Ficus Columnaris ma anche le altre specie vegetali che crescevano intorno a loro: una moltitudine di canne e poi, dall’ortica alla gramigna, dall’acetosella ai cavolicelli, dall’inula al papavero, dall’acanto alle roselline rampicanti, ecc ecc.

    Si passarono la notizia e non poterono far altro che attendere, tormentandosi ansiosamente.
    Un gruppo di cittadini manifestò a tal proposito il proprio dissenso ma non fu ascoltato.
    Gli scavi iniziarono abbastanza presto e furono dolori. Molte piante perirono, diverse zone verdi, rigogliosissime, furono distrutte. Tanti esemplari vegetali riportarono grandi ferite: grosse radici strappate, intere zone degli apparati radicali completamente estirpate, rami tranciati e danni vistosi. Lo stesso accadde agli esemplari dei ficus. Alcune parti delle radici furono completamente eliminate, privandoli dell’appoggio a terra. La costruzione delle fondazioni e dei palazzoni sottrasse grandi quantità di spazio per il loro nutrimento radicale e, per sovrappiù, il cemento andò a coprire buona parte del suolo circostante impedendo al sole di nutrire la terra e alle radici pensili di raggiungere la superficie.

    Gli alberi impiegarono diversi anni a riparare le ferite radicali, a ritrovare l’equilibrio e la tenuta a terra, a cicatrizzare le ferite di rami e foglie e riempire i vuoti delle chiome. Impararono a trovare il nutrimento in poca terra, a limitare le loro pretese, a considerare con pazienza la coabitazione umana ed a trarre il meglio da quelle posizioni complesse e ristrette in cui si erano venuti a trovare. 
Lollino fece del suo meglio per aiutare tutti, creando delle vie di comunicazione sotterranea e trasportando il maggior quantitativo di acqua possibile, dal fiume che gli scorreva vicino e che nel frattempo era stato sotterrato e ricoperto da cemento soprattutto per la costruzione di una strada, la via Principe di Paternò.

    Nei decenni successivi i Ficus, ormai divenuti monumenti viventi, furono spettatori della quotidianità e degli eventi antropici all’interno degli appartamenti distribuiti sui vari piani degli edifici. I bambini, come sempre, giocarono negli spazi tra le radici, come fossero stanze ludiche. Gli innamorati scrissero iniziali e intagliarono cuori sulle cortecce. Giardinieri più o meno preparati tagliarono rami e radici secondo l’ispirazione del momento, le necessità umane o il capriccio degli abitanti.

    I grandi saggi Ficus continuarono la loro crescita, limitandosi ove necessario e approfittando dei pochi angoli disponibili.

    Dopo diversi decenni infatti le aree utilizzabili si erano assottigliate e ridotte al lumicino ed ogni intervento umano o meteorologico era un elemento fortemente destabilizzante per il loro equilibrio.

    Fu così che, un giorno, nel 2023, la potatura di alcuni rami, asimmetrica, dell’albero di punta, insieme ad un colpo di vento più forte del solito, causò la sua caduta improvvisa sulla strada e, ovviamente, la sua morte.

    I suoi amici della rimanente fila, e tutti quelli vicini, se ne disperarono e per alcuni giorni le loro comunicazioni diventarono apatiche, anzi presero un andamento altalenante: a momenti di vivacità si alternavano trasmissioni di linfa quasi nulle, come accade nella morte.
    Fu Lollino che, dopo alcuni giorni, rendendosi protagonista di una svolta del destino che solo in alcuni rari casi modifica la curvatura spazio-temporale in cui ci troviamo, deviandone il corso in una realtà alternativa, decise di tirarli sù di morale, inviando una sferzata di linfa nutriente ed energica e spronandoli a reagire. La scossa fu efficace e li risvegliò.

    Dopo diversi giorni fu quindi decisa, tra tutte le anime verdi del viale, un’azione straordinaria, qualcosa che il regno vegetale di norma non realizza, se non in casi estremi.
    Decisero, in altre parole, di riprendersi il loro territorio, poiché apparteneva loro per diritto di nascita: i Ficus Macrophylla Columnaris erano lì infatti da ben prima degli edifici e stavano soffrendo gli effetti collaterali della convivenza/prigione con gli umani, in modo così pesante da morirne.

    Con l’aiuto necessario e insostituibile di Lollino, che ebbe il compito di pompare linfa e acqua a più non posso, energicamente e continuativamente verso tutti gli altri alberi, essi iniziarono a moltiplicare il loro apparato radicale vistosamente, producendone un aumento di volume tale da alzare gli edifici, romperne la struttura, sbilanciarne l’assetto ed in poche parole, disgregarli.

    Sapevano di correre un grande rischio: gli abitanti, presi dal panico e, soprattutto a difesa delle loro abitazioni e dei loro averi, avrebbero potuto distruggerli senza alcuna pietà. D’altro canto però si fecero forza poiché la situazione era diventata insostenibile dal punto di vista della loro sopravvivenza e sperarono nella forza persuasiva di un evento condotto unanimemente. Le parti degli edifici, una volta distrutte, in ogni caso, sarebbero state di difficilissima ricostituzione.

    La “rivolta del viale delle Magnolie” sorprese tutti, ovviamente, non solo gli abitanti del luogo.

    L’energia sprigionata dalla loro vitalità arrivò ai cuori di molti cittadini che diventarono da quel momento i paladini della natura e dei diritti degli esseri viventi della loro città. Una grande comunità che si impegnò per trovare una soluzione equa, adatta a ricompensare gli abitanti del Viale delle Magnolie che furono costretti a lasciare la loro casa e lo spazio urbano che prima gli apparteneva. La loro associazione si occupò di trasformare in parco botanico tutto il viale e le zone circostanti, demolendo e rimuovendo le parti di edifici che fu possibile trasportare senza danneggiare le piante. I pochi ruderi rimasti costituirono un’area di giochi per bambini.

    Lollino e la sua grande famiglia di Ficus Macrophilla Columnaris racconta da quel momento la loro storia che, di pianta in pianta, si è diffusa su tutto il continente e così è arrivata fino a me, per mezzo della Plumeria Alba che vive nel mio giardino.

    Palermo, Racconti ucronici
  • 6 commenti a “Racconti ucronici, cronache di una Palermo possibile: il viale delle Magnolie”

    1. Bellissimo e delicato come tutti gli altri racconti ucronici scritti da te. Mi ha commosso

    2. Bellissimo. Invito tutti a leggere questa bellissima storia degli abitanti della terra la cui saggezza e l’intelligenza millenaria ci insegna come e perché vivere . Purtroppo, gli scolari umani sono poco attenti e non studiano ; pertanto, rimangono somari .

    3. Bellissimo racconto. Tra realtà e immaginazione ….senza tempo , come sostiene la bravissima autrice.

    4. La penna di Angela Terrazzini non si smentisce, attinge a quella parte dell’anima che ha radici nell’anima universale e traduce in visioni poetiche suggestioni ed emozioni. Oggi sono gli alberi ad averla ispirata, anzi una storia precisa legata ad un albero centenario, maestoso, che faceva parte della storia urbana della città e poi sottratto alla vita dalla furia degli elementi e dalla furia più lenta, ma letale, di altri “elementi” legati alla trascuratezza. Il verde urbano, la convivenza tra alberi e uomo all’interno dei centri urbani è oggi un tema da sviluppare. Alcune città estere stanno mettendo in moto fantasia, progetti e risorse per realizzare questo connubio. A Milano i primi timidi tentativi di città verde. Il passato non ritornerà, gli spazi cittadini ormai sono divorati dal cemento ma questo non significa che ci si debba arrendere e rinunciare a stringere alleanze con i nostri amici verdi, energetici e dispensatori di salute. Si può. Unico accorgimento il rispetto degli spazi vitali e delle esigenze di tutti, uomini e alberi. La chiave è il rispetto. E le parole di Angela lo invocano silenziosamente. Bel pezzo. Andrebbe letto nelle scuole. Infine un plauso per la parte dedicata all’idea di “tempo” così reale, così irreale, così misteriosa…

    5. Che racconto bello e commovente! Sì,mi sono commossa. Così palpitante ed ispirato! Brava Angela, i tuoi racconti ucronici ci raccontano di una Palermo che in tanti vorremmo. La Palermo che abbiamo nel cuore….

    6. Bello, saper interpretare cosa sarebbe il sentire degli alberi vuol dire attenzione alla natura che ci circonda.

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