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giovedì 28 mar
  • L’arrocco

    Come si dice in italiano quando la palla va a finire oltre una cancellata e non è più possibile recuperarla? Non si può dirlo con meno parole di così: quando la palla va a finire, eccetera. Nel dialetto siciliano invece esiste un verbo per definire questa che, più che una situazione, è una condizione dell’anima: arroccare. Minchia, s’arroccò.
    Gli scacchi non c’entrano. Negli scacchi l’arrocco è una scelta difensiva, e qui tutt’altro. È una cosa che succedeva da bambini. Si giocava in mezzo alla strada, in preda a una disperata vitalità. Disperata perché c’era in tutti, fin dal calcio d’inizio, una premonizione. Tutti sapevamo quale era il giardino circondato dalla recinzione più insormontabile, abitato dalla più acida delle signore, quella che, ignara di qualsiasi passione giovanile, il pallone non l’avrebbe mai restituito. Una sola volta magari (“che fa lo tagliamo?!”), e poi basta. Tutti sapevamo che bastava un calcio fuori misura e il gioco sarebbe finito per sempre. Perché quel mai significava mai più.
    Minchia, s’arroccò. C’era in questa constatazione una malinconia composita, impastata di rabbia nei confronti del maldestro calciatore che aveva arroccato, ma anche di rassegnazione al peggio. Il Super Santos, maledetta sia sempre la sua fatale leggerezza, era ormai un ricordo del passato. Niente più partita. Fine del gioco.
    A ripensarci ora, pronunciando quella definitiva espressione – per giunta al passato remoto: s’arroccò – da bambini prendevamo la prima dimestichezza con un sentimento nuovo e tremendo. Anche se avevamo tutta la vita davanti, cominciavamo a capire che esisteva qualcosa di definitivo, un luogo da cui non si torna. Era osservando quella luttuosa parabola del Super Santos, vedendolo sparire dietro la recinzione, che da bambini si incominciava a prendere coscienza della morte. Questo era l’arrocco: una piccola morte, in fondo.

    (In collaborazione con www.robertoalajmo.it)

    Palermo, Sicilia
  • 38 commenti a “L’arrocco”

    1. oddio!!! ricordi di quando il supersantos (ma anche il supertele, o l’imitazione del supersantos, quello con le strisce nere, ma con fondo bianco o giallo) andava a finire dentro la villa del signor Palmeri!!!
      Villa che nessuno di noi picciriddi aveva mai visto, ma tutti sapevano che c’era e che i palloni tornavano indietro.. però tagliati in due col coltello caldo….

      Arroccare è un termine che si usa anche nella pesca. Fai un bellissimo lancio, convinto che questa volta l’aiola più grande la prenderai tu, al massimo una lappana, ma sempre più grande di tutti, vedi che il galleggiante va giu giu giu… ritiri la lenza, ma… arruccasti, quel crasto di pesce si ammuccò tutte cose e se l’è portato nella tana…
      non ti resta che tagliare tutto e al massimo rifarti la paratura. Un po’ come quando Palmeri ti tagliava il pallone e mesto mesto tornavi dalla mamma chiedendole i soldi per un nuovo supersantos.
      La mamma i soldi te li avrebbe dati, ma solo dopo un mega cazziatone con boffa annessa.

    2. Buongiorno
      Bella metafora, anche se …. la mia esperienza diretta mi ha fatto conoscere dei “virtuosi” che .. “acchianavano i mura lisci” e dopo l’arrocco c’era il ” vabbè ù và pigghiu iu”;
      e ci riuscivano pure.
      Come li collochi nella metafora?

    3. @goku: è nei classici, la risposta. Il mito di Orfeo, che scende agli inferi per amore di Euridice-SuperSantos.

    4. Capitava pure che la signora non solo non tagliava il pallone ma ci riforniva di beveraggi: acqua e zammù: ma era una fortuna destinata a pochi.

    5. Mi ricordo bene. -Minchia si è arroccato il pallone!!! Qualcuno rispondeva:- S’arruccò sulu? oppure -Si scarsu ti devi stare a difesa! o il classico:- Si nà niagghia! Così commentava qualcun altro. Si scampanellava dalla vicina e si pronunciava al citofono in rima:-Signora s’è arroccato il pallone, può aprire il portone? Quando la vicina era essente sorgeva il problema!Ma c’era sempre l’esibizionista che voleva scavalcare sempre lui, però il problema vero di nome faceva Chica. L’odiosa e rumorosa cagnolina della vicina (che almeno lei non era acida ma il suo cane si) che quando ci sentiva giocare a pallone aspettava che il pallone si arroccava e vi si avvinghiava quando succedeva, la maledetta muzzicava le caviglie o si agganciava alla scarpa e si faceva trascinare tranquillamente per km o ci potevi riscavalcare e te la portavi a casa. Perciò tutti a distrarre il cane mentre il colpevole o l’esibizionista si davano per scavalcare il muro di cinta (Molto utile risultò la tecnica utilizzata da King Kong nel film ragazzi fuori anche se il più alto tra noi era detto mezza cartuccia). Ora purtroppo credo che questi tempi siano finiti (finiu l’iabbica!) non vedu più quei picciriddi che giocano a pallone, adesso la maggior parte preferisce giocare a pallone alla playstation o al pc. Che tristezza!

    6. …e perchè la palla finiva sempre nl giardino di una donna “schetta”, single, di sicuro acida e circondata da famelici gatti??chissà chi ha impresso queste fantasie nella testa di tutti i bambini…!!1
      Comunque ci sono tantissimi termini che in siciliano con una parola sola riescono a tradurre frasi lunghissime, e termini che descrivono le cose + improbabili…..

    7. Non avevo dubbi che la tua, Roberto, fosse una metafora sull’amore. E aggiungo: per fortuna esistono ancora degli Orfeo in grado di scendere agli inferi, di ricredersi, di ravvedersi, di lottare, di trovare nei sentimenti la forza per affrontare le difficoltà.
      Ho sempre ammirato chi, in barba all’arrocco, prendeva l’iniziativa e cambiava il corso degli eventi. Diventava il mio eroe. E’ vero, si sapeva che quel mai, mai più, si sarebbe prima o poi ripresentato. Il destino del supersantos era segnato nel suo dna, certo. E noi bambini, per questo, lo desideravamo di più. Più intensamente ci godevamo il piacere prima dell’arrocco fatale.
      N.B. E correvamo a comprarne subito un’altro, che traditori!

    8. “arrocco, arroccare, arroccato”… era un modo per indicare un luogo “oltre”… oltre una ringhiera, oltre un muro, oltre “l’orizzonte conosciuto” (fa un po’ Star Trek)
      “Dove abiti?”
      “In via…”
      “miiiii!!! così arroccato?!?!?…”

      Quanti di noi non hanno mai detto questa frase?
      Bel post, bei ricordi.

    9. Per completezza mi sembra doveroso ricordare un altro problema legato all’arrocco, anzi sua diretta e fatale conseguenza. Quello dell'”omologazione” del risultato della partita.
      Preso atto dell’impossibilita’ del recupero della palla, iniziava la polemica sul risultato: definitivo o temporaneo fino all’arrivo di un altro supersantos?
      La squadra in vantaggio spingeva per la prima ipotesi, specie se l’arroccante apparteneva all’altra squadra, quella che stava perdendo, invece, era inamovibile: domani si continua…

    10. Ai miei tempi non c’erano le play station, e nemmeno i pc o internet: i nostri pomeriggi (dopo i cartoni giapponesi tipo holly e benji, goldraze, mazinga z) li trascorrevamo “giù”, per strada, a giocare a pallone.
      L’arroccata di palla era un evento frequente, ed i cosiddetti c..zi, erano quando il pallone doveva essere recuperato. Ricordo in particolare che, quando la palla si arroccava nel terreno dello zù paluzzu, lui non diceva nulla, anzi ci invitava ad antrare. Piccolo particolare, aveva 3 cani da caccia che appena ti avvicinavi, ti saltavano addosso e ti facevano nuovo.

    11. C’è una variante all’arrocco quale evento-fine-di-mondo: la bucata del super santos, che comportava a volte una morte rapida dello stesso, a volte lenta per riduzione impercettibile ma irreversibile della massa gassosa contenuta all’interno del predetto.

      Si andò diffondendo un ultimo rimedio, ma occorreva essere svegli e abili: se il buco era piccolo si cercava di tapparlo con una lama arroventata all’uopo, operazione che però richiedeva grande destrezza (si formavano così specialisti dell’attappata, corteggiatissimi e gelosi della loro arte).
      A volte funzionava, ma mai per molto tempo. Comunque permetteva di finire la partita.

      Poi restava lì, piccolo e emarginato, al più utile per allenamento del portiere o per riserva estrema in caso di nuovo arrocco o spirtusata.

    12. Tristemente io stavo dall’altra parte. Abito a piano terra e quando ero piccola e dietro casa c’era il parco, i miei coetanei arroccavano il pallone nella mia terrazza. E così io ero la figlia della signora che tagliava i palloni!! 🙁

      Scherzo, non credo che i miei abbiano mai tagliato i palloni, al più mia madre “vuciava” per le piante che si rompevano, ma i palloni venivano sempre restituiti quando c’eravamo. Spesso,però, tornando a casa mi rendevo conto che c’era un pallone nuovo che era finito in giardino. Ora che ci penso non ho mai comprato un pallone in vita mia!

    13. Il commento di Valeria mi ha fatto venire l’idea di un racconto: il bambino triste, figlio della signora che bucava i palloni. Un gran personaggio.

    14. Fortissimo!
      Non avevo mai pensato che quando maledivo il Signor Pravatà con il suo villone,il suo muro tempestato di cocci di bottiglie di birra verdi e marrone e il suo pastore tedesco Zoff, in fondo stavo prendendo coscienza di un non ritorno!
      Causa pastore tedesco da noi unnu iava a pigghiari nuddu! Poi si passava all’ulaop, oppure alle “molle”…Ve le ricordate le molle? Come si chiamavano? Mannaggia, non ricordo, ma si passavano da una mano all’altra facendo dei giochini di illusione ottica…Poi ogni tanto s’impirugghiavano tutte ed era la fine! Ultima spiaggia, i pattini a rotelle…4 rotelle, mica rollerblade! E cu l’avieva??!!

    15. Ma anche il mito del “giardino incantato”….
      Muro di cinta invalicabile, c’è ancora, dalle parti delle case popolari di Via F.Parlatore.
      Avendo frequentato Manzoni, Leonardo da Vinci e Umberto, in pratica la via che costeggiava quel muro era il nostro campo di gioco, le traverse i campetti per allenarci.
      Porte fatte con il Rocci di Greco, uscivano pali importanti vero e con il Badellino Calonghi quando c’era versione di latino.
      Il giorno il pallone era di cuoio, preso con i punti miralanza, numero 4, ma soprattutto era mio, il primo della mia vita.Un perituorti l’arroccò.Io non potevo perderlo, però nessuno aveva mai scalvalcato quel muro.
      Avevo 12 anni e non avevo mai visto tutto quel verde che si perdeva a vista d’occhio e rimasi incantato. Era ed è Villa Whitaker, ma nessuno di noi sapeva che c’era quello spettacolo al di là del muro.

    16. Almeno un paio dei vostri ricordi è davvero formidabile. Sono contento di avere lettori così.

    17. Via Federico De Maria nei primi ’70 era un budello senza uscita, perfetto per fare solo due cose nel labirinto senza fine di Cuba- Calatafimi: la svolta a U senza creare casini nelle adiacenze del manicomio e la partita “contraria”. Noi della media “Mazzini” eravamo delle eccellenze in quest’ultima. Bastava che un insegnante dichiarasse qualche malessere e via col super santos in via De Maria. Ma che guaio quando il pallone finiva oltre il muro di cinta del Boccone del Povero: lì non c’erano vecchiette acide che ti bucavano il pallone. Dovevi solo avere le palle di andarea scavalcare quattro metri di cinta irta di cocci di bottiglie e ferri. Vai a capire perchè indicasserro tutti me: “vai Cita, vai”. E il pallone miracolosamente tornava in campo. Ma mai che mi avessero prestato aiuto per ridiscendere dal muro. Quelli intanto avevano ripreso a giocare

    18. La partita contraria! Che tenerezza!
      Sul gioco del pallone e sull’arrocco vi consiglio un racconto di Michele Mari: I palloni del signor Kurz”. Vedrete.

    19. Un attimo…L’arroccata non era la fine di tutto! Era solo la sospensione temporanea della partita per iniziare un altro fantasmagorico gioco: il recupero del pallone! Abbiamo fatto veramente di tutto per un misero Super-Santos; breccie nel muro del giardino dei preti che neanche i bersaglieri a Porta Pia, “scarrozzamento” di auto per portarle sotto il balcone incriminato e poi, salendo sopra il tettuccio in 6, piramidi umane tipo Barcellona, arrampicamenti da Uomo Ragno che al circo manco se li sognano….Soltanto io da bambino ho collezionato tre denunce per violazione di domicilio, inteso come balcone della signora che “ve lo potete scordare il pallone!!!”. Ma avevo 12 anni..che cosa denunciava? Chissà la faccia dei carabinieri quando ascoltavano la storia dei bambini volanti…
      E poi si ricominciava a giocare fino ad esaurimento, della luce solare, non delle energie.

    20. Non posso dimenticare – a distanza di quaranta anni – quella volta in cui il pallone andò – per l’ennesima volta – oltre il muretto che recingeva il giardino della signora Alessi.
      In breve – e nell’ordine – ritornarono indietro, dallo stesso muretto: gatto con zampe aperte come paracadutista, contenuto d’acqua di un secchio, pallone bucato.
      Il gatto in effetti lo avevamo traghettato noi nella stessa identica maniera. Ma era passato un pomeriggio e pensavamo avessero deciso di adottarlo.

    21. Mi ricordo della Vecchia Gigì, sempre vestita di nero, che una volta ci restituì il Super Santos dentro una teglia nero-fumo: l’aveva infornata!
      Pensavamo fosse una strega, era forse la sua immensa tristezza, l’incapacità di sorridere, che ce la faceva temere. L’origine della sua cattiveria non l’ho mai saputa, in giro nessuno voleva parlare di lei. Mia madre ne ha approfittato, però. Quando non volevo mangiare mi diceva: adesso ti porto dalla Vecchia Gigì. E così, l’immagine del mio pallone sgonfio e spalmato sulla teglia e Gigì vestita di nero mi riapriva l’appetito. Un paradosso. Mi chiedo se ci sia necessariamente, un’origine della cattiveria. Adesso, che è morta da tanti anni, e la sua casa è chiusa da allora, mi piacerebbe tornare indietro e fare di tutto per strapparle un sorriso. Almeno uno. E magari le chiederei se ha fatto un botto, il Super Santos dentro al forno. Mah!

    22. P.zza indipendenza acccanto porta nuova,entrata vecchia cavalleria di stato,bel rettangolo cementato circondato da aiuole,al centro albero con spine comu chiuavi,il rettangolo modificato a mo di campo,linee laterali,area di rigore porta dischetto,centrocampo.
      Quasi perfetto,se non fosse stato per l’albero chi chiuava e il cancello con spuntoni che indicava l’entrata della cavalleria.
      Io re dello scavalco,i mura lisci manco li vedevo,quel cancello però mi faceva tremare,ma ora mai eravamo diventati una cosa sola,lui cercava di impedirmelo in tutte le maniere,ma io u futtiava siampri,avutru che kingkong del film mery per sempre,pure dal profondo di via colonna rotta mi venivano a chiamare,con gli scout facevo il tibetano veloce e puru a occhi chiusi,ma quell’albero da specie i ficus maledetto,chi spuntuna,non ti dava scampo,o spunnava subito il supersantos(e in questo rimediavamo quando un pallone di cuoio scoppiava sotto gli autobus,mettevamo dentro il super santos che gonfiavamo da annibale) o si arroccava in alto.Una volta ci provai,ci riusci ma scinnivu vunciu e chinu i pirtusi.
      Quando torno a Palermo e passo da li guardo quell’albero e quel cancello con tristezza,erano i tempi che solo io tifavo Palermo,con la maglia rosanero juculano,o vini corvo.
      ora neanche si può arroccare più il pallone,perchè ci sono arroccate le macchine dei carabinieri.

    23. Il buio oltre la siepe, ma al contrario. Via Ingegneros, lo slargo antistante quello che adesso è l’ospedale San Lorenzo all’epoca collegio ospitante i figli degli invalidi di guerra, quelli che noi abitanti del quartiere chiamavamo i “mutilatini”. Avevano un campetto in terra battutta, troppo battuta in effetti, tanto da procurarti abrasioni ed escoriazioni alla prima caduta ma per noi, quando si riusciva ad eludere la sorveglianza del custode, il Maracanà al confronto era il campo della Bacigalupo.
      Quando non si riusciva ad entrare si uava per l’appunto lo slargo antistante il cancello di ingresso e quannu u palluni s’arruccava non c’era niente da fare, se il Sig. Di Franco, nome di pura fantasia, s’innaddrunava, u tagghiava.
      Una piccola rivincita comunque ce la prendevamo quando con fare accusatorio ci rivolgevamo al figlio del Sig. Di Franco, nostro compagno di giochi, facendogli notare quantu cuinnutu fussi so patri. A lui non restava che tristemente annuire.

    24. Sadomasochisti…

    25. Si dimenticano sempre i migliori , non leggo una parola sul “San Siro” , pallone in plastica dura ad esagoni bianco e neri che valeva 10 supersantos e 50 supertele.
      Quando sgonfiava un pò, diventava duro come le corna e colpito di testa ti faceva male per tutto il giorno, però assomigliava molto al pallone di cuoio, all’epoca sogno per molti di noi.
      Lo associo ai “Tre Campetti”, dove adesso c’è il Crispi, il ragioneria, spiazzo sterrato dove si giocava fino a quando c’era luce.
      il campetto più grande era il più ambito e quando noi ragazzini lo trovavamo libero era una gioia immensa…fino a che arrivavano i “grandi”, facevano i “sconsaiuocu”, interrompevano cioè la partita, naturalmente contraria, per insediarsi loro, spesso con le magliette quasi tutte uguali e pallone di cuoio e noi rimediavamo obtorto collo sul campetto più piccolo.
      Non potevi sciarriarti con uno alto due volte più di te.
      E come non citare i palloni di cuoio du zu Totino, al Malvagno.Credo che i melloni che vendono al Capo siano più tondi di quelle cucuzze che ci ammollava u zu Totino, approfittando del fatto che fossimo ginnasiali.
      In pratica tiravi ma usciva sempre un tiro ad effetto e i poveri portieri, in genere le negghie della classe, incassavano botte di dieci gol a partita come niente.

    26. via ingegnoros,si trasferi li, fuori le mura un fraterno amico,c’erà una villa abbandonata,si vociferava che era spirdata,e quando si arrocavano li i palloni nessuno osava prenderli.
      Ma quali spirdata,era china i palluni,un giorno feci una gita fuori porta con la mia rock 84 tre marce e andai in via ingegneros,ma quali spirdi e spirdi,ho liberato i palloni,i spirdi arristaru a taliari,e in più me ne sono tornato con tre bei sahetti chini i manderini,visto he all’interno c’erà un bell’agrumeto.

    27. Un tempo la Via Giotto non sbucava sulla circonvallazione. Un tempo, esattamente al posto del grande parcheggio di Piazzale Giotto (pardon, Piazzale John Lennon) e di quel ricettacolo di tasciume chiamato Oceania c’era un agrumeto.
      Quel tempo era la seconda metà degli anni ’80, perchè la strepitosa idea (o la stepitosa scusa, se volete) di far fuori un agrumeto così bello e così grande non poteva che venire con i mondiali del ’90…sapete com’è, ci sono i mondiali e si decide di fare un bel parcheggio per lo stadio…peccato che lo stadio distasse -e disti tuttora- non meno di 3-4 km!
      Insomma, in quel tempo la Via Giotto non “sbucava” e c’era addirittura un muro, più o meno all’altezza del civico 88: ironia della sorte, venne buttato giù prima dei mondiali, più o meno in concomitanza con un muro ben più noto.
      All’epoca i “grandi” giocavano in quella che era una strada senza uscita: io ero nico e all’inizio li guardavo e basta, poi crescendo mi cooptarono, anche perchè ero l’unico che giocava in porta non “per punizione” ma perchè mi piaceva. Talvolta, inevitabilmente, il pallone “s’arroccava” nell’agrumento.
      Il problema era triplice: il filo spinato della recinzione, i cani del padrone dell’agrumento e il padrone medesimo, che stando alla vox populi aveva un fucile caricato “a sale”…e lo scaricava contro il intrusi! Ora io non sono in grado di stabilire con certezza se si trattasse di una leggenda metropolitana o se ci fosse un fondo di verità, fatto sta che di palloni se ne arroccarono ‘na puoco e solo poche volte riuscì l’impresa del recupero. Ovviamente chi ci riuscì acquisì automaticamente lo status di eroe del palazzo.
      Nel mio immaginario di ragazzino, “l’agrumeto” era un posto mitico, a metà strada tra il pericoloso (da cui stare prudentemente alla larga) e il misterioso (da cui venire inevitabilmente attratti).
      Non riuscii mai a “violarlo”: quando raggiunsi l’età per tentare l’impresa, non c’era più.
      A quel punto le partite furono trasferite nel più comodo parcheggio che ne prese il posto: almeno in questo si può dire che fu un’opera destinata al calcio.
      F.to: il portiere
      ***
      PS So di essere tragicamente off topic ma non posso approfittare di questo thread di R. Alajmo per informarlo di quanto segue:
      1) il suo libro “Notizia del disastro” è nella mia personale top ten di tutti i tempi;
      2) l’ho riletto tre volte, e ogni volta il finale mi emoziona anche se lo so a memoria;
      3) ogni volta che atterro a Punta Raisi, non posso fare a meno di pensarci: ormai è un riflesso condizionato.

    28. Grazie, Leone. Così ho scoperto una delle tre persone che l’hanno letto, quel libro…
      Se ti può consolare è anche il mio preferito.

    29. Posso suggerire un’altra suggestione del linguaggio siciliano? A questo punto?

      L’arrifardiarsi.
      Verbo inesistente nellinguaggio italiano, a meno di molte e complicate perifrasi,ma molto ed immediatamente comprensibile fra siciliani.
      Getto il guanto di sfida.

    30. io e le mie michette che giocavamo all’interno del cortile oltre che temere le ire del portiere che ogni tanto intimava ” u tagghiamo stu palluni” dovevamo pure sottostare alle angherie degli inquilini del palazzo che a sorpresa ci buttavano di sopra cati d’acqua…che bei ricordi…peccato che queste cose oggi non accadano più…causa un finto perbenismo dilagante….

    31. quando perdevamo l’arroccavo apposta,meglio sospesa che perdere

    32. Io ho sempre immaginato che il verbo “arroccarsi” (del pallone, nello specifico) avesse origine da un qualche medievale termine legato alla Rocca (cfr. http://www.mondimedievali.net/Glossario/rocca.htm).

      E ciò, ritengo, in conseguenza dell’esperienza personale!

      Da piccola, giocavamo – io, sorelle e amiche – in campagna a pallavolo: si divideva il campo, si metteva una rete (tutto con scatoli, baston, tende e sacchetti!) e si giocava in quello spazio che da un lato era delimitato dal muro di casa e dall’altro da un alto muro di cemento armato, la Rocca, appunto.
      O, almeno, questo riproduceva la mia fervida immaginazione!
      E quando, in ossequio ad un mio recondito desiderio, s’arroccava il pallone, io ero quella che, per volontà propria o designazione collettiva, correva a recuperarlo. Perchè la parte più bella dell’arrocco era il recupero!
      Vuoi per incoscienza, vuoi per eccesso di presunzione (convinta come ero di potere fare qualunque cosa, insomma un vero maschiaccio!), mi “avventuravo” come una novella Indiana Jones (ché forse allore non era scritto neanche il copione del primo film!) inerpicandomi a mani nude per viottoli stretti e irti, incurante dei graffi e delle ferite che mi procuravo alle gambe! Raggiunta la meta, salivo su quelle rocce divise dal muro in cemento armato da un burrone dal quale sovente uscivano serpi (sì, anche quelle) e, tra le femminili, stridule urla delle mie compagne di gico, trionfante e gonfia di orgoglio portavo a compimento il recupero!
      Oggi, guardo quei luoghi e, sorrido di me constatando come quei viottoli fossero un piccolo, breve passaggio in morbida salita, il burrone un piccolo fosso profondo non più di un metro da cui ancora escono serpi… sì, ma piccole e d’acqua, innocue, che probabilmente hanno più paura di me!
      Le ferite, invece erano vere e qualche graffio mi ha lasciato la cicatrice! Se allora avessi pensato che un giorno avrei gradito mettere una gonna senza che si vedessero quelle cicatrici sulle gambe, non l’avrei forse fatto.
      Però, poi, mi soffermo, osservo quelle miscroscopiche cicatrici e, pensando ad “Arma Letale 4”, sorrido in un rigurgito di spirito d’avventura e penso: “cicatrici di guerra!”
      Grazie
      Linda

    33. Una volta il padrone del giardino accanto dove si arroccò il pallone ci tirò una scupittata..quello è stato uno schok tremendo.praticamente ha ucciso il nostro pallone.è stato bruttissimo.
      tanti aneddoti collegati all’arrocco.tutta la mia infanzia è passata a vedere palloni dispersi.

    34. Dal 1966 al 1971 sono stato nel collegio che Voi chiamavate dei “mutilatini” perchè inizialmente era riservato ai bambini che restavano vittime dei residuati bellici, poi tale privilegio fu allargato ai figli degli invalidi di guerra.
      Ho passato cinque anni in quel collegio che mi ha dato la possibilità di diplomarmi all’ITIS “E. Majorana” di Palermo e affrontare la vita con un discreto successo.
      I ragazzi “borghesi” vedevano come il Maracanà quel campetto in terra battuta in quanto per loro l’alternativa era di giocare in strada.
      Sono stato a Palermo 25 anni dopo e ho notato con
      tristezza che gli agrumeti che c’erano intorno a Via Ingegneros non c’erano più… Tanti auguri alla Sicilia e ai siciliani di un futuro sempre più radioso.

    35. CHI NEGLI ANNI DAL 1966 al 1971 E’ STATO AL COLLEGIO “SICILIA” PER GLI ESTERNI “MUTILATINI”
      IN VIA GIUSEPPE INGEGNEROS 33 A PALERMO RAGAZZI E ISTITUTORI PUO’ SCRIVERE UNA E-MAIL A salmisur@gmail.com

    36. Arnoldo ti invito a non utilizzare così il maiuscolo (equivale a urlare). Grazie.

    37. bello! arruccari: 4. in senso attivo, vale spingere alcuna cosa in parte alta, o che resti ferma, o appesa, talchè non cada giù.
      questo è uno dei significati del verbo annotati nel vocabolario di lingua siciliana di vincenzo mortillaro..

    38. Largo Ferdinando Lionti. Chi conosce il posto sà che 25 anni fa era un utilissimo piazzale per interminabili partite (oggi è solo un parcheggio).
      – Sig. Calabresi – ha tagliato una quantità industriale di Super Santos. Ogni tanto però, la palla la restituiva, solo se per il ritiro andavo accompagnato da mamma.

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