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Sito: http://www.danielagambino.altervista.org/

e-mail: danielagambino@gmail.com

Biografia: Giornalista e scrittrice, ha pubblicato saggi e romanzi fra cui la guida 101 cose da fare in Sicilia almeno una volta nella vita per Newton Compton. Si è occupata di diritti civili e fenomeni sociali. Il suo ultimo libro è il romanzo La perdonanza, edito da Laurana. È addetto stampa della Fondazione Teatro Pirandello, oltre a lavorare nella comunicazione e nell'editoria.

Daniela Gambino
  • Iris

    Felici a Palermo

    La verità è che io sono sempre stata convinta che a Palermo non si potesse essere felici. Se c’era un posto certo, sicuro, antifelice, era questo, dove sono nata.
    E che mi viene in mente questa canzone di Nicolò Carnesi, che non a caso è palermitano, Ho bisogno di dirti domani.

    «Che cosa ho perso in questi anni?/ Sicuramente lucidità/Cos’ho rubato ai tuoi vent’anni?/ Qualche sorriso e un sacchetto di parole/Come si fa quando cerchi la felicità/Nel Lexotan?».

    E penso che vedo sparire le cose, sotto gli occhi e che invece vorrei ritrovarle, non dico per sempre, ma almeno domani.

    Noi, parlo della mia generazione, infelici dovevamo essere, ci mancava tutto, pure il jeans di marca del cugino del Nord, «da noi chissà quando arriva», pure il film underground, la mostra dell’artista alternativo, «un mio amico lo ha visto in America l’estate scorsa», gli spettacoli? Niente, in televisione li potevi vedere e senza manco YouTube, se la Rai si decideva, volevi visitare un museo, una cosa qualsiasi? Come minimo dovevi staccare un biglietto e, di tua spontanea volontà, «perché lo volevi sul serio», senza manco poter condividere le foto sui social. Continua »

    Palermo
  • Sono passati dieci anni ed eccoli lì: Rosalio continua

    C’è stato un tempo, mi dico, in cui non esisteva il “mi piace”, ma come caspita comunicavano senza il mi piace?, e confessiamolo chi, in chat, non ha lanciato un mi piace, ovvero un pollicione alzato, incidentalmente? Partono che è una bellezza.
    Il mi piace ha velocizzato la comunicazione web, vuoi mettere l’utilità rispetto alla fatica di pensare e vergare un commento?.
    La stessa domanda, come comunicavano prima, me l’ero già posta una volta riguardo gli sms e giusto qualche anno prima per le email, la domanda era sempre la stessa, come facevamo a comunicare a dovere prima, senza l’sms, e addirittura senza la posta elettronica? Domande precedute solo dalla comparsa del cellulare – che tutt’ a un tratto designava il telefonino portatile, mentre prima era la camionetta dei galeotti – e dava il via a un incredibile quesito: Ma veramente siamo sopravvissuti fino agli anni Novanta senza telefonino?.
    Ecco, sono passati dieci anni e mi chiedo, ma come faceva Palermo prima, senza Rosalio? Continua »

    Palermo, Rosalio
  • Robin il make up artist a Palermo

    Robin il make up artist a Palermo

    Io, dal giorno in cui ho scoperto il rossetto rosso e con lui ho instaurato una storia d’amore che dura da sempre, con i cosmetici non scherzo. Poi, mi sono sempre truccata poco, pochissimo, mi scoccia, ho la faccia facciosa, mi sono sempre detta, si vede la faccia, bisogna pure sottolinearla? Ma al rossetto, no, non ho mai rinunciato. Roberto Ciasca, che Gil Cagné (sì, lui, il mito) battezzò Robin, ad esempio, sa che una donna, se è giù di umore si deve truccare, che la bellezza sarà pure spirituale, ma un velo di mascara e di cipria, saranno materiali, ma sono lì, a portata di mano e possono farci sentire coccolate. Io ci ho creduto e un pomeriggio, mi sono fatta truccare da Robin. Con le ciglia a mazzetti mi sono vista un occhio sornione che non credevo nemmeno di avere. Cioè il resto era fantastico, ma l’occhio, la miseria, era un altro mondo, potevo gareggiare con le presentatrici tivvù. Ora uno si chiede: insomma, persino un’irriducibile come me ha capito che tra una donna truccata e una donna non truccata passa una certa differenza, ohibò? Certo, se a farlo è un vero mago. Ho avuto persino l’ardire di pubblicare le foto addict make up Robin su Facebook ed è stato un plebiscito da parte delle amiche: «Anche noi!». Continua »

    Ospiti
  • Sindaco, dieci buoni motivi per andare in giro in bici con la Gambino

    Diego Cammarata ignorò l’invito ma lei, Leoluca Orlando! Ci viene con la sua family a fare un giro in bici con me per la città?. Un bell’itinerario turistico monumentale, come se fossimo ospiti che la vedono per la prima volta, o un giro in centro, proviamo a metterci nei panni dei palermitani che vogliono rinunciare alla macchina, o alle mamme che portano i bimbi sul seggiolino della ruota di dietro, o dei precari, degli ecologisti, degli studenti o semplicemente dei palermitani, che vogliono uscire e pedalare con tutto questo sole o correre al lavoro. Quando scenderà dal sellino avrà le idee chiare come non mai sulle piste ciclabili, sulla sicurezza stradale, sulla vivibilità.
    Io, l’invito, come da etichetta, l’ho spedito, promettendo che le avrei offerto una granita a fine giro (ma non mi pare un particolare di importanza istituzionale). Ho pure spammato Facebook con un evento.
    Ma, Gentilissimo Sindaco, se dovesse avere ancora qualche dubbio, ecco dieci buoni motivi per andare in giro in bici con la Gambino Continua »

    Ospiti
  • “Breve storia della Sicilia” di Amelia Crisantino

    Amelia Crisantino - “Breve storia della Sicilia”

    Ma cosa unisce le vicende dell’ex presidente della Regione, Salvatore Cuffaro, che si incontra in un retrobottega di Bagheria con l’imprenditore della sanità Michele Aiello, con le guerre puniche? O ancora, cosa unisce macchine belliche di Archimede, che tenevano lontane le navi romane, con la trappola dell’Autonomia che scatta sotto i Borbone all’inizio del XIX secolo?? Cosa ha trasformato la Sicilia nel regno dell’usurpazione e dell’opacità, in mano a chi vuole mantenerla semp re uguale ase stessa? Il processo che ci ha portato a questo è spiegabile, è un’epopea di avvenimenti scritti in maniera precisa, lieve, financo gobile (sì, godibile è il termine giusto) da Amelia Crisantino. I buoni libri fanno venire voglia di parlarne ed è questo il caso, anche se Amelia è mia amica e lo dichiaro fin da subito. Continua »

    Ospiti
  • Vietato Under 30

    Il titolo è volutamente provocatorio www.vietatounder30.it, quella preclusione a chi conta meno di trent’anni è tutto un invito. A cosa? Mi domandavano sospettosi appena parlavo del progetto, non vorrai mica fare un’altra rivista femminile? Un sito per nostalgici degli anni Ottanta? Non proprio. Volevo uno spazio per essere umani veri. Non per quelli contenuti nelle statistiche, da far rientrare in percentuali tanto in auge sulle riviste, utili ai pubblicitari per individuare i loro target. Tanto che il sottotitolo dice webzine di cultura e culture fuori target. Continua »

    Ospiti
  • Reality ship – ultima puntata

    Cielo al porto di Porticello

    “A mare – mi spiega Guido Agnello –, non si possono mai fare programmi precisi”. Infatti la sosta a Lipari salta, il tempo è inclemente, o forse no, si alternano inverni e primavere che durano pochi minuti e lasciano senza fiato, un attimo e devi disfarti del maglione, l’attimo dopo la temperatura cala di dieci gradi, fra scrosci di pioggia e arcobaleni. Il capitano Nino si collega alla rete attraverso il wireless e verifica su eurometeo la situazione meteorologica, “controllo se c’è vento contrario sul cammino del ritorno” mi spiega.
    Venerdì sera si uniscono a noi i giornalisti Sandra Laudati da Milano e la fotografa Francesca Moscheni, insieme ad Edoardo Camurri che arriva da Roma, il tempo di questi giorni li sorprende, insieme al Liberty, con la sua cucina, il suo servizio impeccabile e la nostra compagnia. Quella che per me è la riscoperta di sapori antichi, per la stampa, per i registi, è nuovissimo. Cambia l’alchimia e l’acciuga – per nominare una degna rappresentante del pesce azzurro – diventa una scoperta. Il sabato mattina alle 4 freschi di sonno, andiamo all’asta del pesce di Porticello, insieme ai giornalisti e ai registi movimentiamo il mercato filmando, chiedendo, osservando, tutti ci domandano “ma state girando un film?. Continua »

    Ospiti
  • Reality ship – terza puntata

    Paolo Maselli e Nino Lo Cicero
    (Paolo Maselli e Nino Lo Cicero – foto di Elena Beninati)

    È vero, la barca ha una diversa dimensione del tempo. Dopo due notti in cabina, superi ogni indugio, la coabitazione, il rumore incessante del motore, quello della pioggia (eppure a terra avevo una lieve ansia, “e se piove?” m’ero chiesta), alla fine ti abbandoni a un ritmo diverso, smetti di pilotare l’equilibrio dei tuoi passi ti muovi in automatico, ti dici “in fondo posso vantare una vita prenatale nel liquido amniotico”. Mario, lo chef di bordo (detto fammi lustro, e ditemi se non è un’incuria meravigliosa) lavora in una minuscola cucina, il suo campo di battaglia, dove avvengono miracoli: pasta alla palina con un velo di gratin, gamberi marinati, pasta con le sarde, zuppa di lenticchie, caponessa, polpo con le patate, sarde a beccafico, e pesce azzurro in tutte le combinazioni. E siamo solo all’inizio. Continua »

    Ospiti
  • Reality ship – seconda puntata

    Capitano Nino Lo Cicero
    (Capitano Nino Lo Cicero – foto di Elena Beninati)

    Vi dirò che ho visitato la sala motori quella che suona il jazz (come hanno ricordato nei commenti), Guido Agnello mi ha chiesto: “ti interessi di meccanica?”, il motore del Liberty è enorme, racconta solo a guardarlo e poi produce questo suono, come di spazzole su una batteria, e capisco che la meccanica, anche per chi non ne capisce niente, è sempre uno svelamento Vincenzo il macchinista, mi spiega che il motore in questione funziona a sei cilindri, “macchina avanti e macchina indietro, non esiste la folle” Nino, il comandante, sostiene che “l’elettronica a livello di gestione della meccanica non basta, in mare bisogna prendersi la responsabilità delle scelte”, non solo delegare a una macchina ipermoderna o sofisticata. Nella sera un peschereccio d’altura non trova posto per ormeggiare e ci affianca, “succede, in mare” mi dice Paolo Lapponi, che insieme a Paolo Maselli imbraccia immediatamente la sua videocamera e si butta nella mischia di curiosi e pescatori. C’è una forma di mutua solidarietà fra la gente di mare, ci si saluta da barca a barca, si passano le cime. Continua »

    Ospiti
  • Reality ship – prima puntata

    “Senti senti il motore suona il jazz”, mi dice Guido Agnello. È vero. Il motore del Liberty sembra un rullare di tamburi, una musica che si balla, come il mare che non è una tavola, no, e le nuvole sono nere e basse. Ma dopo che si “mollano le cime”, Palermo, che ve lo dico a fare? Vista dal mare sembra placida, indifesa e addormentata ed è di una bellezza commovente. Avete presente Verdone, m’imbarcai su un cargo battente bandiera niberiana? Mentre sto a poppa (ho imparato che si trova nella direzione opposta delle prua) mi accorgo che sto su una “rompighiaccio” che ne batte una inglese, sventolano, tre bandiere, tutte accanto: la trinacria e il logo del pescato. Tira vento a poppa e spiega Pascale Colbert, “certe volte oltre all’ispirazione, per dipingere l’importate è avere della carta adesiva e una pinza per evitare i capelli avanti agli occhi”. Guardarla dipingere, veloce e precisa, è uno spettacolo. Raggiungiamo il porto di Aspra sul gommone, giuro, faccio cose da marinaia, salto dal rimorchiatore, tocco terra che mi sento miracolata, portata a spalla. A terra i pescatori si lamentano per una pesca di alacce. Se vuoi augurare del male a qualcuno, mi spiegano, gli dici “t’avissi a inchiri ‘a varca china ri alacci”. Continua »

    Ospiti
  • Reality ship

    Liberty Tug

    Se una sera vi chiamano e vi prospettano, “che fai dal 14 al 19 novembre?, ti va di partire su un rimorchiatore del ’48?, una pittrice e un regista hanno già detto di sì, non è che soffri il mal di mare?”, voi che rispondete? Ci devo pensare? Da piccola giocavo sempre ai pirati. Ho detto subito di sì, mi sono assicurata che la barca in questione, il rimorchiatore navetta Liberty Tug, fosse completamente restaurata, e ho domandato “non è che ci allontaniamo troppo?”. L’ idea del viaggio per mare è venuta a Guido Agnello, quello de La coppola storta e della fondazione Palazzo Intelligente, che s’è inventato un modo nuovo di promuovere il settore ittico siciliano (il progetto è finanziato dal Dipartimento Pesca dell’Assessorato Regionale della Cooperazione, del Commercio, dell’Artigianato e della Pesca), mettendo personaggi differenti fra loro per preparazione e competenze su un’imbarcazione che parte da Palermo e farà tappa in alcuni caratteristici porti siciliani dei borghi di Aspra, Porticello e dell’isola di Lipari. Continua »

    Ospiti
  • Farsi da parte

    Ogni tanto, in questo mondo iper rapido e super informato, bisogna farsi da parte, cedere il posto, restare a guardare. Così sento. La vita corre più veloce del web e io non voglio perdermi più niente. Saluti affettuosi per tutti, che continui l’avventura. Arrivederci.

    Rosalio
  • Palermo in Vespa

    Ho visto Palermo in Vespa Piaggio dall’età di quattordici anni. L’ho vista a Vespa ferma, al semaforo, o semplicemente mentre se ne stava appoggiata sul cavalletto. L’ho vista con Vespa a terra, caduta su una macchia d’olio, l’ho vista con Vespa ingolfata o “a candela sporca”, con il motore scoppiettante, l’ho vista con Vespa a spinta per mancanza di benzina, con Vespa in discesa, a sessanta all’ora e in salita, a trenta. Il ricordo delle estati è una corsa lungo viale Regina Margherita, è l’uscita dalla Favorita “facendo attenzione”, a Mondello è l’accensione della freccia 0 l’alzatina di braccio per segnalare l’accostamento. Palermo in Vespa ha tutto un suo movimento a scatti, inserimento della prima marcia dei modelli precedenti, scarto tra le auto ferme nel traffico, rumore di fondo, rumore di catena che l’incatena a un palo utile. La Vespa è fondamentale mezzo di trasporto per un’adolescente quale io sono stata. Se Cremonini dei Luna Pop canta: “ma come è bello andare in giro per i colli bolognesi… una Vespa special che risolve i problemi”, io posso dire lo stesso per i Colli di San Lorenzo. Seduta sulla Vespa puoi attendere all’appuntamento amoroso adolescenziale, in viale Strasburgo, dalle parti dalle parti di un bar famoso – dove a drappelli si riunivano i coetanei –, mantenendo una figura dignitosa. Non è lo stesso a piedi, proprio no: la Vespa marca la tua indipendenza. La Vespa si accende e parte, se non si accende puoi sempre fermare un ragazzo e chiedere di dare una spinta o un colpo al pedale perché delle volte “ci vuole il piede deciso di un maschio”. In Vespa andavo al liceo, che allora si trovava in via Cilea, una traversa di via Umberto Giordano; a trovare un’amica dalle parti di via Sampolo; svariati fidanzatini allocati nella zona di viale Francia, via Belgio, i nuovi appartamenti della nuova borghesia. Palermo non è una città a misura d’uomo, e nemmeno di automobili, i viottoli ereditati dalla cultura araba sono troppo stretti e tortuosi, ma a misura di Vespa sì. Forse gli arabi lo sapevano. La Vespa è adatta, ti rende riconoscibile, “quella con la Vespa”. Si può non conoscere il nome di uno di questi scooter giapponesi nuovi, ma è impossibile ignorare la Vespa. Una mia cara zia negli anni Cinquanta si metteva di traverso nel posto dietro sul sellino. Mio zio se la portava in giro. Lui aveva un bel paio di baffi e a detta di tutti somigliava a Domenico Modugno. Un’estate, mentre “volare oh, oh” imperversava per l’Isola e penisola, la coppia attraversò in Vespa i fasti di una festa di piazza, così racconta mia madre. Qualcuno, particolarmente fisionomista, vide lo zio è constatò “talè cu c’è: Domenico Modugno!”, l’osservazione innescò un inseguimento da parte di un gruppo di persone, probabilmente fan di “Mister volare”. Qualcuno di loro forse se lo chiede ancora, che cosa ci facesse Modugno in Vespa, a Palermo, con mia zia seduta dietro.

    Palermo
  • Quelli che il cricket

    Ho cercato per il web le regole del cricket. Mi interesserebbe sapere come funziona perché domenica ho assistito a un partita. Dei ragazzi che – con grande sforzo di fantasia – ho immaginato provenissero dall’India giocavano davanti ai giardini della Zisa, con mazze e palline portate da chissà dove (probabilmente dalle loro case), esattamente come fanno gli italiani con il calcio (oooh! Stupore!). Nelle partite di pallone io conosco le regole, so perché si segna un gol, anche se non sono Pelé so pure cos’è un fuori gioco, qui non ci capivo niente. “Il cricket è uno sport a squadre giocato fra due gruppi di undici giocatori ciascuno. È nato, almeno nella sua forma moderna, in Inghilterra ed è popolare principalmente nei paesi del Commonwealth. In alcuni paesi dell’Asia del Sud, compreso India, Pakistan, Bangladesh e Sri Lanka, il cricket è di gran lunga lo sport più popolare – così leggo da wikipedia -. È inoltre uno sport importante in Inghilterra, in Galles, in Australia, Nuova Zelanda, Sudafrica, Zimbabwe ed i Caraibi anglofoni (Indie Occidentali)”. Vai a capirci qualcosa. A un certo punto volevo riprenderli col telefonino, tipo fossero un fenomeno da baraccone. Ho intuito che uno lancia, con una specie di salto perfetto e un altro sta lì a ricevere. Un genio sono. Loro giocavano con eleganza, dentro i giardini italo-ragazzini si inseguivano sulle biciclette. Mi hanno guardata, con la circospezione di cui sono capaci i pseudo-dodicenni nei confronti di un’adulta. Ho messo a posto il telefonino. Continuavo a non capirci niente, ma era uno spettacolo strepitoso lo stesso.

    Palermo
  • Tappeto verde

    Prima o poi ci finiamo tutti, in una serata a “giocare”. Certe volte io tento di declinare l’invito con atti disperati: guarda che non so giocare, “ma te lo spieghiamo noi”, guarda che proprio mi si restringe il cervello davanti alla carte, sono un caso umano “e non devi fare niente, prima di mettere una carta in tavola ce la fai guardare a noi per decidere”. Ho passato intere serate accanto ad amici volenterosi che hanno deciso strategie per me, mentre io fingevo di non capire. A volte ho pensato di buttare lì, come scusa ultima: “ho i diti rotti, non posso reggere due carte da gioco in mano, scusate”. Ma pure in queste occasioni gli amici sono stati comprensivi: “e che problema c’è?, vieni, guardi, ci facciamo due chiacchiere”. I ricevimenti, appositamente regolati su questo proposito: carte, tombola, l’uruguacho Burraco, si aprono d’ufficio a Palermo in occasione della festività dell’Immacolata. Lo scenario è sempre lo stesso; stanze fumose e mazzi di carte da distribuire, orgoglioso sdoganamento di sabot e tappeti verdi con evidenti segni di bruciature da sigarette e scaccio, ovvero noci e semenza a volontà, da ingollare a quattro ganasce insieme all’avvertimento “portate qualcosa da bere”. Continua »

    Palermo
  • Del cibo di strada palermitano

    Del cibo di strada palermitano, dell’urgenza di possederlo, consumarlo, gesto atavico e rituale, troppo se ne è dedotto e da penne migliori di me, con dietrologie più sottili e filosofiche, e altro inchiostro verrà versato, in tal proposito, ne sono certa: perché a quel cibo lì, con odori che invadono vicoli e vicoletti, irresistibili canti di sirena per il palato, non si resta indifferenti, a meno che non si venga tratti in salvo (come per la cera nelle orecchie di Ulisse) da un raffreddore capace di anestetizzare in toto l’olfatto. Sospetto che il cibo di strada e il cibo in genere, a Palermo, venga usato come forma di obnubilamento mentale. Nessuno ha pensato che per mantenere in scacco un’intera città e piegarla al proprio volere, invece di pistole, coltelli, razionamento dell’acqua e taglieggiamenti, sarebbe bastato mettere a cuocere un’enorme pignata di pasta con le sarde, immensa, che con i suoi fumi annebbiasse i vetri delle finestre e tenesse in perenne ostaggio i nasi dei cittadini, con minor spreco di violenza, e massimo sperpero di passolina, pinoli e finocchietto. La tirannia del cibo panormita, purtroppo o per fortuna, si mantiene più discreta, è una distrazione alla portata di chiunque. È una forma di bricolage, un hobby, acuisce l’ingegno, suggerisce varianti che moltiplicano in maniera esponenziale i contenuti calorici e prospettano incontrovertibili effetti anestetici e analgesici. Come si possono articolare pensieri logici dopo aver assaporato, masticato e poi ridotto in bolo un panino e mezzo con la meusa, per giunta maritata? Quale ingegneria di alta culinaria si cela dietro una frittata con la variante (aggravante per colesterolo e trigliceridi) della muddica atturrata? Chi ha fatto questa scoperta? Chi l’ha applicata? Immagino un genio, al pari di Michelangelo, Mozart, Leonardo, magari un enfant prodige dodicenne che si è prodotto ai fornelli per mesi al fine di progettare la caponata perfetta, regolare il punto di cottura delle stigghiola, scoprire l’ingrediente finale delle arancine. Mi chiedo non senza polemiche, come mai colui che per primo ha scoperto l’abbinamento sarde, pangrattato, foglie d’alloro e fettine d’arancia (leggasi sarde a beccafico) non sia stato insignito del premio Nobel per la chimica. Assaggiare e offrire rosticceria mignon non calma gli animi al pari di scambiarsi un calumet della pace? Se tutti si offrissero scambievolmente panini con le panelle e qualche crocché (anche piccoli, per non ostruirsi troppo le arterie) non ci sarebbe forse più pace nel mondo?

    Palermo
  • Non abbiamo il primato

    In spiaggia mi è capitato di fumare e di portarmi appresso le cicche, avvoltolate con la carta argentata. Come scrivono quelli che “ci capiscono di tendenze” a tal proposito segnalo un oggetto “cult”: il portacenere da tasca. Ottima idea regalo per le prossime festività. Basta farsi un giro a Mondello per rendersi conto che i resti delle sigarette vengono abbandonati e, quando va bene, ficcati a fondo nella sabbia come per occultare le prove del proprio tabagismo. Ma non è che funziona così: occhio non vede ambiente non duole. Come chiunque anch’io inquino, spreco elettricità, vado col motorino, canto sotto la doccia. A guardarsi intorno non si direbbe, ma bisogna sfatare un mito: non è che il palermitano produca più rifiuti di qualsiasi altro essere umano nel mondo, non è che fumi di più o usi la plastica o le bibite in lattina smodatamente, non abbiamo nessun primato, il problema è che dei rifiuti non se ne disfa con accuratezza, per questo ce li troviamo sempre tra i piedi, da noi la munnizza è manifesta manco fosse un’installazione di arte moderna. A un tavolino di una birreria, insieme all’ingegnere ambientale, Maurizio Quagliana abbiamo provato a stilare un poco di gesti quotidiani che noi palermitani potremmo compiere per non dolere troppo a questa città. Continua »

    Palermo
  • L’estetica (cromata) del tuning

    Ieri piazzale Giotto era un turbinio di colori, telefonini alla mano si è scatenata una gara tra spettatori per immortalare i fenomeni: almeno 200 auto da tutta Italia, con grande sfoggio di sportelli ad ala di gabbiano e cromature, in cui il più tranquillo degli accessori era il lettore dvd, il meno evidente dei colori l’arancione, la più sobria delle modifiche la verniciatura che riproduce le fiamme. Questo il primo Prestige Tuning day. Gli organizzatori assicurano che sarà solo il battesimo di un appuntamento annuale. Confesso che pure io ho fotografato, e ho meditato se sottoporre o meno la mia vespa al tuning, non ho dubbi, farà tendenza, ne ho già scritto. Cos’è il tuning? Fate mente locale, in fondo è un fenomeno che ci appartiene in toto, chi non ha mai avuto almeno un conoscente con il volante impellicciato e le foderine dei sedili da auto da corsa? Tuning è la parola inglese che troviamo segnata sulle radio e significa sintonizzare, denomina anche il processo di customizzazione dell’auto, la modificazione estetica e meccanica, che la rende un pezzo unico, smagliante, luccicante, straripante di confort, gadget e neon, tanto che proprio ai neon è dedicato una sezione di gara. C’è da scommettere che le grandi case automobilistiche abbiamo subodorato l’esigenza di personalizzare sempre più i propri abitacoli, farne – considerato che ci contengono per parecchie ore al giorno – degli spazi “nostri”. Continua »

    Palermo
  • Canditi per sempre

    Non si può decidere che fine fare. Se sei cattolico e palermitano però la tua ultima dimora già la conosci: Santo Spirito o i Rotoli, se sei fortunato eccoti padrone di una cappella di famiglia con un posto fisso – che magari non hai mai avuto nella vita –, sicuro. Una volta andati non è facile lasciare ai vivi il compito di accontentarti, ci vuole la tempra di credersi fondamentali pure da trapassati, da far combinare un casino: essere cremarti e disperdersi per il golfo di Mondello, per esempio (sarà legale?, che imprissiuni, farsi il bagno in mezzo alle ceneri!) da scomodare notai, ordinamenti giudiziari, redigere testamenti. Io non conosco nessuno che lo faccia, redigere testamenti intendo, sono affare comune e io non conosco una persona sola che l’abbia steso, forse è una pratica da coltivarsi in gran segreto. D’altronde, in vero carattere panormita, che me ne fotte a me? Dico, quando sarò morta sarà arrivato il vero momento di fregarsene, incrucchiuluta lascerò agli altri il compito di occuparsi delle spoglie immemori. Non lascio scritto niente, ancora da leggere devo dare ai poveri malcapitati? Pure da morta? Però qualcosa sogno. E la sogno quando entro nella pasticcerie cittadine che odorano di vaniglia e cannella, pistacchio e mandorle, quando mi perdo nel tripudio della ricotta, della crema gialla, nella fragranza della millefoglie, fra i canditi lucidi e accecanti del cannolo e della sfinge di San Giuseppe. E qui mi fermo. Nei canditi, nella frutta cristallizzata nello zucchero. Questa è la natura morta che mi interessa, altro che tele degli impressionisti. Solo i canditi mi riguardano: nei colori, nella preparazione, nella durata, nella guarnizione a raggiera delle cassate. Anche se vengono scansati, delle volte, ricevono l’ammirazione di chiunque. Come ultima volontà vorrei morire addolcita, imbalsamata come Biancaneve, come la Bella addormentata nel bosco, vorrei, per sempre, farmi candire, diventare trasparente come un’amarena o una scorza d’arancia, superflua, sciropposa, scenografica; e restarmene lì, in una vetrina, tutt’uno con la pasticceria siciliana.

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  • Uno spot di parte

    L’altra volta, adoperando un libro per scacciare un insetto che s’era insediato nel bauletto della mia vespa, ho scoperto un uso alternativo della letteratura. Gli usi sono molteplici, riflettevo, un volume esile si può anche usare come rincalzo per pareggiare le zampe dei tavolini che traballano. Usiamoli ‘sti libri, perché farne uno è una vera fatica. Pubblicarne poi, è un gesto quasi eroico. Pubblicarne in quel di Palermo direi che ha un valore ulteriore. M’inchino, allora, all’impegno profuso in questi anni da Libr’aria. Una specie di collettivo cangiante, lo definirei, che in sei anni cresce, cambia, fra discussioni, scontri, impegni, dà spazio alla piccola editoria invisibile, s’inventa, nelle capocce di Beatrice e Claudia (la Monroy e la Cincotta: attente a queste due, chissà che fermenti ci combinano) una non stop per insonni che è tutto un programma: La notte dei mille racconti. Allora, vi dichiaro che Librar’aria, dalla piccola bottega luminosa in via Ricasoli, dove s’insegna e si crea letteratura, diventa casa editrice e pubblica, “Diari di viaggio: visita poetica nella Sicilia del fantastico (il tempo, la geografia, il cuore di un popolo)” con il patrocinio della Provincia regionale. Il primo titolo è Su per la montagnamare. “Un rosario di petali, come quelli provvidenziali di Pollicino, che indica una nuova avventura culturale. Un’altra strada”. Si legge dall’introduzione dell’assessore Tommaso Romano. Copio dall’introduzione di Beatrice Monroy: “In noi, di Libr’aria, era maturata l’idea di un’edizione che fosse il risultato di una ricerca collettiva di un gruppo di artisti (scrittori e disegnatori) attorno all’ideazione (scrittura/immagine) di una mappa della Sicilia come luogo letterario del fantastico, volendo così provare a fare un passo avanti rispetto alla standardizzazione della letteratura siciliana su i temi oltremodo ripetuti del giallo”.
    Lo confesso: oltre a riconoscerne l’importanza, il mio interesse a caldeggiare l’impresa è spudoratamente di parte, fra gli autori di questa pubblicazione che porta il numero uno ci sono io, insieme alla sopraindicata Claudia Cincotta, Gianguido Palumbo e il disegnatore Vanni Quadrio.

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